La catastrofe paventata del ritorno alla lira

catastrofePer quanti sforzi faccia, non riesco proprio a capire, e quindi a condividere, i timori catastrofici che molte persone in buona fede (ma taluni anche no) hanno verso l’ipotesi di ritorno alla lira. Ci viene prospettato come sicuro il caos economico, la svalutazione, l’inflazione e la corsa agli sportelli delle banche; paventando l’insostenibilità dei debiti (sia quello pubblico che i mutui privati), contratti in euro, e di contro, la perdita del potere d’acquisto di salari e pensioni, pagati in lire. Insomma, la bancarotta.

Questi scenari terrorizzanti mi ricordano tanto i babau e gli orchi che servono ad intimorire e tener buoni i bambini. Ma la realtà è un’altra. Nella vita, solo la vecchiaia e la morte sono irreversibili, a tutto il resto può essere posto rimedio, nel caso disfacendo ciò che era stato precedentemente fatto (male). Dunque, se il passaggio dalla lira all’euro non fu (immediatamente) catastrofico, non si vede perché dovrebbe esserlo il passaggio inverso.

All’entrata in vigore dell’euro, venne stabilito un periodo di tempo durante il quale ci fu la doppia circolazione lira-euro. I prezzi erano espressi in entrambe le monete e si poteva pagare indifferentemente con l’una o l’altra. Qualcosa di simile immagino si possa fare anche nel caso più semplice del ripristino della moneta nazionale. Più semplice perché, mentre nel passaggio dalla lira all’euro il cambio fu fissato a 1936,27, nulla vieta oggi di fissarlo alla pari, cioè un euro per una lira.

Questa parità andrebbe garantita dal governo almeno per tutto il periodo di doppia circolazione monetaria, che potrebbe essere anche inferiore a quello stabilito per la transizione alla moneta unica nel 2002, che fu di un anno.

Tutti i debiti contratti verso creditori italiani, o anche stranieri ma operanti in Italia, verrebbero ridenominati in lire, al pari di tutti i depositi e titoli. Anche il debito pubblico sarebbe ridenominato in lire, mentre gli sportelli bancomat cesserebbero di erogare euro, per erogare le banconote delle nuove lire, che la zecca riprenderebbe a stampare. Ricordando sempre che il denaro circolante (le banconote) è solo una piccola parte dell’aggregato monetario, costituito in massima misura da denaro elettronico, esistente cioè solamente sotto forma di depositi, affidi, titoli, carte di credito ed altri strumenti finanziari.

Con la parità tra la nuova lira e l’euro, non si produrrebbe nessun aumento improvviso dei prezzi (che nell’attuale deflazione non sarebbe neppure così nefasto). I beni d’importazione, compreso il petrolio, continuerebbero a costare quello che costavano prima, e pensioni e salari manterrebbero lo stesso potere d’acquisto.

L’assalto alle banche non avrebbe ragione di verificarsi, dal momento che l’uso del contante è già oggi abbastanza limitato, e ritirare i propri depositi in lire che possono essere tranquillamente cambiate in euro alla pari, non avrebbe alcun senso.

E’ ovvio che se ci si riprende la sovranità monetaria, lo si fa per tornare a disporre di quegli strumenti che consentono di governare al meglio l’economia del paese. Pertanto, al termine del periodo di doppia circolazione monetaria, la lira verrebbe lasciata libera di fluttuare nel mercato dei cambi con le altre valute, per posizionarsi ad un livello rappresentativo della nostra economia, demandato alla legge di mercato. Questo comporterà probabilmente un deprezzamento della nostra valuta, la cui quantificazione è oggetto di dispute accanite. Tuttavia è utile ricordare che durante il precedente storico dell’abbandono precipitoso dello SME da parte dell’Italia, il deprezzamento non superò il 20% nell’arco di un anno, senza influire minimamente sull’inflazione, che anzi scese. Tale svalutazione fu poi abbondantemente recuperata negli anni successivi.

Ciò che potrebbe verificarsi nell’aspettativa di tale svalutazione, la cui quantificazione è difficile da prevedere, soprattutto nell’ipotesi di un passaggio lungo ed ordinato dall’euro alla lira, è una tendenza alla tesaurizzazione delle banconote in euro. Poco male, è comunque ricchezza che resta nel paese. Allo stesso modo sarebbe plausibile una certa fuga di capitali, tramite il trasferimento di depositi su conti esteri, per quanto ciò non sia in gran parte già avvenuto. Porre dei limiti potrebbe essere necessario da parte del governo, limiti in ogni caso facilmente applicabili dalle banche.

Quello che invece andrebbe ben gestito è il rinnovo del debito pubblico con le aste dei titoli di stato. Su questo versante potrebbe farsi risentire l’effetto spread, con la difficoltà del Tesoro di rifinanziarsi sul mercato dei capitali. Diciamolo chiaramente: la riappropriazione della sovranità monetaria passa anche dalla ri-nazionalizzazione della Banca d’Italia, che deve tornare a svolgere le funzioni di una vera Banca Centrale, come la FED, la Bank of England e la Bank of Japan, ovvero anche acquistare i titoli del debito pubblico invenduti alle aste, così come accadeva fino agli anni Ottanta. Inoltre, prendendo esempio dalla FED, la Banca d’Italia dovrebbe inserire tra gli obiettivi della sua politica monetaria anche la piena occupazione.

Se il passaggio si svolgesse ordinatamente, è probabile che non si renderebbe neppure necessaria una forte svalutazione al termine del periodo di doppia circolazione. Il ripristino della sovranità monetaria e la garanzia della Banca d’Italia sul debito pubblico, annullerebbero il rischio di un default del debito sovrano dell’Italia. I mercati lo capirebbero subito e probabilmente premierebbero i nostri titoli. Il cambio più competitivo farebbe ripartire davvero la nostra economia e in poco tempo potremmo recuperare il deprezzamento valutario, oltre che – cosa più importante – l’occupazione.

L’alternativa a tutto ciò la stiamo sperimentando ormai da troppo tempo.

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Pubblicato da Rosso Malpelo

Libero pensatore