Confesso che ho sbagliato

tempestaCome molti altri, anch’io sono passato dalla fiducia nelle sorti progressive dell’umanità, alla speranza di cavarmela fino alla prossima catastrofe, sia essa naturale o direttamente causata dagli uomini, come le guerre e le crisi economiche.

Siamo un po’ tutti diventati abitanti delle pendici del Vesuvio che, incuranti del rischio, proviamo ugualmente a vivere una vita normale, sperando nella sorte, mentre occupiamo ogni spazio disponibile, anche il meno indicato, proseguendo quell’espansione illimitata della crescita economica, paradigma della nostra civiltà.

Con il pretesto di esportare la democrazia, abbiamo generato conflitti e disordine per il mondo con i nostri eserciti. E per nostri, intendo anche quello italiano, che dalla caduta del muro di Berlino in poi, ha condiviso con USA e Nato ogni intervento militare, in violazione dell’art. 11 della Costituzione:

L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali.

Ora, che da questa semina di vento stiamo raccogliendo tempesta, percepiamo la catastrofe dell’afflusso incessante di migranti e profughi, e le tragedie ad esso connesse, confidando nella sorte di non viverci accanto.

Come molti altri, non ho fatto nulla per impedirlo. Come non ho fatto nulla per impedire che si cementificasse ed asfaltasse il mio bel paese ad un ritmo di otto metri quadrati al secondo, distruggendo e deturpando un ambiente che il mondo c’invidiava. Perché l’edilizia è sempre stata il motore dell’economia.

Pensando al piccolo benessere mio e della mia famiglia, ho accettato tutte le regole del mercato, tollerato l’esistenza di redditi spropositati insieme a quelli da fame, assistendo inerte al dilagare del potere finanziario e delle banche. I miei (pochi) soldi sono sempre stati in banca, anche dopo aver visto i disastri causati dai loro sporchi giochi speculativi. Avrebbero dovuto fallire, ma avremmo perso i nostri depositi, così non abbiamo avuto nulla da ridire quando gli stati hanno socializzato le perdite delle banche, caricandole sul debito pubblico.

Così come non ho avuto niente da ridire quando i prezzi immobiliari sono arrivati alle stelle, spinti dalla bolla del credito, perché aumentava anche il valore della mia casa. Poco importava se i giovani faticavano sempre più per permettersi una casa anche solo in affitto.

Non ho protestato al progressivo smantellamento di diritti e tutele lavorative, che di fatto hanno portato ad una diffusa precarizzazione e riduzione dei salari, perché non mi riguardava, dal momento che avevo accettato di auto-sfruttarmi già da anni. Salvo accorgermi di quanto faticoso sia progettarsi il futuro in queste condizioni, sulla pelle delle mie figlie.

Oggi non protesto neppure contro l’involuzione renziana dell’Italicum e del Senato di nominati, perché in fondo penso che le istituzioni siano come le uniformi, utili a farsi riconoscere, ma poi sono gli uomini che agiscono al loro interno. E con i politici che ci ritroviamo, ogni ordinamento è destinato a malfunzionare. Ma i politici non sono altro che lo specchio dei cittadini.

 

In compenso leggo e scrivo molto.

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Pubblicato da Rosso Malpelo

Libero pensatore