De-bello

Questo è un titolo trivalente. Può essere interpretato “alla romana”, in senso ironico, come quello che de bello possiamo attenderci prossimamente. Oppure può essere inteso come presente indicativo del verbo debellare, cioè annientare, eliminare. O infine tradotto dal latino “sulla guerra”. Al lettore la scelta preferita.

 

Se esiste una costante storica per l’umanità, essa è la guerra. La guerra si ripropone in ogni epoca, a tutte le latitudini, in qualunque società umana. Scontro violento tra gruppi di individui determinati ad ottenere o conservare beni e vantaggi, la guerra è parte della natura sociale della nostra come di altre specie viventi. Ciò che ci contraddistingue è la progressiva barbarie con cui le guerre avvengono nel corso della storia, l’utilizzo di armi sempre più micidiali e la generale, ipocrita condanna della guerra in tempo di pace nell’attesa del prossimo immancabile conflitto, a cui tutti, più o meno segretamente, sono tenuti a prepararsi.

La guerra è dunque ineluttabile e probabilmente non è mai esistito un periodo in cui non ci fossero conflitti armati in atto in qualche parte del mondo. Quindi la guerra è sempre presente tra gli uomini, e chi non la sta combattendo vi si sta preparando. Quando poi le interconnessioni economiche, politiche e strategiche tra le diverse nazioni hanno raggiunto un sufficiente grado di globalizzazione, la guerra è diventata mondiale.

Prima del secolo scorso non si era mai data la condizione di una guerra combattuta quasi in ogni luogo al medesimo tempo tra due fazioni planetarie. Oggi sembra essere lo spettro che ci terrorizza, ma al quale ogni stato conforma la sua preparazione armata e le sue alleanze strategiche. Ci terrorizza perché la potenza raggiunta dalle armi è ormai in grado di distruggere ampiamente il pianeta ed i suoi abitanti. Ciò costituisce anche il deterrente attuale allo scoppio di un’altra guerra mondiale. Molto probabilmente senza gli arsenali nucleari questa sarebbe già scoppiata da tempo.

Tuttavia una guerra mondiale è nell’aria, se ne parla sempre più di frequente, forse solo per esorcizzarla. Una guerra che è principalmente civile, anche se su scala globale. Lo capiamo dal recente assalto ai palazzi del potere in Brasile, che ricalca fedelmente ciò che è accaduto a Washington due anni fa. Lo intuiamo dall’odio e dalla discriminazione che ha pervaso le nostre società negli anni della pandemia. Lo percepiamo dalla russofobia seguita al conflitto in Ucraina, che ha per obiettivo persino la cultura e la storia del nemico che ci siamo scelti (o che più verosimilmente ci è stato imposto).

In finale è l’odio che va crescendo nel nostro tessuto sociale, inconsapevolmente alimentato dalla rabbia e dalla delusione per le promesse non mantenute di continua crescita e prosperità del nostro modello di sviluppo, a cui abbiamo ingenuamente creduto. La prosperità per tutti non può essere infinita, perché le risorse sono finite, però può esserlo per pochi. E i pochi che possiedono molto e ci guidano interessatamente hanno bisogno di una propaganda convincente affinché i moltissimi che possiedono poco credano ciecamente che all’origine della promessa non mantenuta dell’ipercapitalismo vi sia l’egoismo di altri popoli e la malvagità di chi li governa. Hanno bisogno che le moltitudini indottrinate siano pronte ad immolarsi in una nuova grande guerra, senza dover ricorrere agli arsenali atomici, come l’esempio fornitoci dagli ucraini.

Poi la giostra potrà ricominciare, grazie al volano della ricostruzione ed alla ridotta popolazione. Sempre deprecando e condannando la barbarie della guerra.

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Pubblicato da Rosso Malpelo

Libero pensatore