Di male in peggio in questo ultimo scorcio del 2015

bombMolti avvenimenti si susseguono concitatamente in questo ultimo scorcio del 2015, e ancor di più sono le letture che di tali accadimenti si possono trovare sul web, a confondere ancor di più la già confusa pubblica opinione. Sul web, giacché sui media mainstream la chiave di lettura è pressoché identica, chiaramente ispirata dal potere che li controlla.

Di ciascun accadimento è possibile leggere molte analisi, alcune sensate, altre viziate dal pregiudizio politico o, peggio ancora identitario. E’ un fatto, però, che, concordemente alla “teoria della rana bollita”, stiamo facendo il callo a tutto ciò che di peggio sembra accadere, rinunciando a manifestare avversità per le scelte che i governi attuano, auto-giustificati da eventi che sembrano talvolta congegnati apposta per favorire quelle stesse scelte.

Come appare lontana la protesta pacifista che attraversò il mondo alla vigilia della seconda guerra del Golfo, con centinaia di manifestazioni popolari in tutte le grandi città e le bandiere arcobaleno alle finestre. Oggi la guerra viene invocata da più parti, in una specie di frenesia che ricorda il movimento interventista alla vigilia della prima guerra mondiale. Persino la Lega Nord, che nel 2003 manifestava il suo appoggio per Saddam Hussein, oggi è l’alfiere dell’intervento militare italiano nei teatri di guerra della Siria e della Libia.

In tutto questo ribollire di odio, l’opinione dei generali sembra paradossalmente essere quella più sensata. Sarà perché loro la guerra la conoscono e sanno bene qual’è il suo costo. Sarà perché con eserciti di professionisti volontari, il peso della lotta non ricade più sul popolo mobilitato, ma solo su quegli uomini che hanno scelto la divisa militare per professione. O forse perché la guerra loro la stanno combattendo già da tre lustri, anche se a noi viene detto (orwellianamente) che si tratta di missioni di pace.

Il potere continua a venderci la guerra come uno scontro di religione e di civiltà, quando così non è mai stato, neppure nell’antichità. La guerra è sempre e solo conflitto d’interessi ammantato di nobili ideali, ma state pur certi che tra l’esportazione della democrazia e l’importazione di materie prime essenziali all’industria, è senz’altro quest’ultima a prevalere, anche se nessun governo lo ammetterà apertamente.

Il fatto fondamentale, a mio modesto parere, è che la crisi economica che attanaglia l’occidente capitalista dal 2007, è strutturale e non può essere superata con le manovre economiche classiche con cui si è fatto fronte alle crisi precedenti. Essa rappresenta il declino di un modello economico insostenibile, basato su una crescita illimitata all’interno di un sistema finito, costituito dal nostro pianeta. E, all’interno di questo modello sballato, da una crescente disuguaglianza tra gli uomini.

Che tale modello debba essere superato, pena l’estinzione del genere umano, dovrebbe essere palese ad ogni uomo di buona volontà. Tuttavia così non è, preferendo le classi dominanti la morte di “Sansone con tutti i Filistei”, piuttosto che rinunciare ai propri privilegi. E dunque ciò a cui ineluttabilmente andremo incontro è la catastrofe, bellica prima ancora che ambientale.

Per intanto la catastrofe personale la stanno sperimentando quei piccoli risparmiatori, che fidandosi della banca di cui erano correntisti da decenni, hanno investito i risparmi di una vita in azioni e obbligazioni bancarie, ritenute a torto sicure quasi quanto i Bot. Da un giorno all’altro migliaia di persone hanno visto sfumare i propri risparmi nel salvataggio di quattro banche di medie dimensioni: Carife, Banca Etruria, CariChieti e Banca Marche. Pessimo segnale per tutti i risparmiatori che hanno sottoscritto titoli bancari ritenendoli sicuri ed ulteriore mazzata ad un settore già oberato da più di duecento miliardi di sofferenze e cento trenta miliardi di crediti incagliati.

Se ci fosse stato bisogno di un ulteriore segnale, il popolo è avvisato: quando l’economia continua ad andar male, presto o tardi le banche falliscono perché i loro debitori non hanno i soldi per rimborsare i crediti concessi. E questo non è che l’inizio, quando i più l’avranno compreso, cominceranno a voler rientrare dei loro risparmi e depositi e sarà il panico. Prepariamoci a sperimentare il contingentamento dei prelievi bancomat, lo stesso che stanno sperimentando i greci da sei mesi a questa parte.

Purtroppo non è un problema relegato alla sola periferia dell’Europa, di quei popoli corrotti e spendaccioni che hanno vissuto al di sopra delle proprie possibilità, come vorrebbero farci credere. Anche la diligente Finlandia è incamminata lungo lo stesso percorso di austerità e impoverimento, a dimostrazione della perniciosità della moneta unica.

Ma smantellare l’euro non è affatto cosa semplice. Le classi dominanti – ovvero i ricchi – di ogni paese membro non accetteranno di buon grado il ridimensionamento della propria ricchezza, oggi espressa in euro e domani in divisa nazionale svalutata. Perché la ricca borghesia capitalista si è globalizzata e confronta la propria ricchezza su scala mondiale. Così preferiscono scaricare sui lavoratori i costi degli squilibri macroeconomici creati dall’euro, magari soffiando sul fuoco dell’intolleranza per sviare su altri soggetti deboli la rabbia che monta nei popoli.

Oggi si vota in Francia, tra pochi giorni in Spagna. Vedremo presto quanto la gente è disposta a lasciarsi ingannare ancora. Personalmente non sono molto ottimista, penso che dovremo bere fino in fondo l’amaro calice prima di renderci conto del male che ci è stato fatto per ingrassare un élite già grassa.

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Pubblicato da Rosso Malpelo

Libero pensatore