Emigrazione e mobilità dei fattori di produzione

Che l’Europa non fosse un’Area Valutaria Ottimale, i leader politici fautori della moneta unica ne erano perfettamente a conoscenza. Soltanto presumevano che i requisiti dell’A.V.O. (identificati dall’economista Robert Mundell, che per questo si era guadagnato il Nobel), sarebbero stati raggiunti in un secondo tempo, alcuni magari sollecitati da una crisi economica, come la piena mobilità dei fattori di produzione, ovvero capitale e lavoro.

La difficoltà maggiore nella mobilità dei lavoratori all’interno della UE è senz’altro dovuta all’assenza di una lingua comune, ma anche le differenze tra i sistemi scolastici e previdenziali giocano un ruolo notevole. Ora che una crisi asimmetrica è arrivata e non accenna a lasciare i paesi della periferia, si sta lentamente verificando ciò che era stato auspicato al momento dell’introduzione dell’euro: il trasferimento di masse di lavoratori verso i paesi dove la produzione marcia ancora ad un discreto ritmo e c’è una buona richiesta di mano d’opera, meglio se qualificata, anche nel settore dei servizi.

Oggi siamo in presenza di un fenomeno migratorio dei lavoratori più qualificati verso i paesi del nord e del centro Europa. I giovani in possesso di una buona istruzione, ottenuta a spese del loro stato d’origine, sono spinti a trasferirsi dove trovano maggiori opportunità di lavoro. Questo movimento si somma a quello, già in atto da diversi anni, della migrazione di masse di diseredati dal sud del mondo verso l’Europa opulenta, che vanno ad occupare le posizioni più infime del mercato del lavoro, lasciate vacanti dal progresso economico, ma soprattutto dall’aumento del reddito pro-capite in tutti i paesi europei nei decenni passati.

Le migrazioni alla ricerca di migliori condizioni di vita, non sono mai state un fenomeno indolore. Hanno sempre comportato disagi, separazioni e sacrifici e, non ultimo, scatenato sentimenti xenofobi da parte degli strati più bassi delle popolazioni native, che si sono ritrovati ad affrontare direttamente la concorrenza di altri poveri.

E’ quello che invariabilmente rischia di verificarsi anche adesso. “Pigs here” è il titolo di un articolo pubblicato di recente su The Sun, quotidiano popolare londinese. Nel 2013 saranno giunti nel Regno Unito ben mezzo milione di immigrati, di cui 183.000 dai paesi UE.

Grazie alla mia età, ho esperienza sia indiretta che diretta dell’emigrazione in cerca di lavoro, fin da quando i miei zii, quasi analfabeti, negli anni sessanta del secolo scorso, andarono a lavorare in Germania, condividendo con altri immigrati l’alloggio nelle misere baracche e subendo il disprezzo dei tedeschi meno istruiti. Quando le cose migliorarono in Italia, i miei zii fecero ritorno in patria, trovando lavoro prima al nord e, dopo altri anni, finalmente al loro paese d’origine.

Recentemente ho avuto esperienza diretta dell’emigrazione qualificata, in Svizzera e più esattamente a Zurigo. Il trattamento è stato infinitamente migliore di quello ricevuto dai miei zii, ma sempre d’emigrazione per necessità si è trattato. Ed ho potuto notare che anche nella tollerante Svizzera si stanno sviluppando fenomeni di xenofobia a causa dell’afflusso consistente di immigrati, che ha ricevuto un notevole incremento con la crisi.

La migrazione di masse di lavoratori è funzionale al capitalismo globalizzato, quanto la libertà di movimento dei capitali. Consente di disporre sempre di un esercito di lavoratori di riserva, laddove la produzione richiede più mano d’opera, senza arrivare mai alla piena occupazione ed evitando così di far salire i salari.

L’Italia è storicamente stata un paese di forte emigrazione. Movimenti migratori importanti sono iniziati all’indomani dell’unità nazionale e sono proseguiti per molto tempo. Avendo come meta il nord e il sud America, l’Australia e diversi paesi europei, più di 30 milioni di nostri connazionali hanno dovuto fare la valigia ed andarsene da questo paese che non offriva loro opportunità di sopravvivere dignitosamente. Talvolta le storie dei nostri emigranti sono state coronate dal successo, come nel recente caso del neo sindaco di New York, De Blasio, ma in stragrande maggioranza sono storie di sacrifici, fatica e sofferenza. Non c’è famiglia italiana che non abbia parenti più o meno remoti, emigrati in qualche parte del mondo. Malgrado ciò l’Italia non è certo tra i paesi dove gli immigrati vengono accolti meglio. La xenofobia è di casa anche da noi e la riduzione delle opportunità per via della crisi, non può che accentuarla, alimentando una inutile guerra tra poveri, che attende solo di essere sfruttata da politici furbi e senza scrupoli. Un po’ come sta avvenendo in Grecia, con il partito Alba Dorata. Ma anche la fortunata Germania non è immune da tali fenomeni, visto che nel recente accordo CDU-SPD per la formazione del terzo governo Merkel è stato proposto il pagamento del pedaggio sulle autostrade tedesche, ma solo agli stranieri (alla faccia dell’integrazione europea).

E così l’auspicata mobilità della forza lavoro nella UE, piuttosto che contribuire a rendere l’Europa un’Area Valutaria Ottimale, rischia di fomentare xenofobia e beceri nazionalismi. Un ringraziamento anche per questo ai politici saggi che hanno voluto imporre la moneta unica ad ogni costo, pur sapendo di mettere il carro davanti ai buoi, certi che la crisi avrebbe spinto i buoi ad andare “spontaneamente” avanti a tirare il carro.

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Pubblicato da Rosso Malpelo

Libero pensatore