Recentemente l’economista Paul Krugman ha commentato l’uscita dell’Islanda dal programma del Fondo Monetario Internazionale. L’FMI ha dichiarato che il programma si è concluso con successo, e Krugman asserisce che l’Islanda è rientrata nei mercati capitali e che “la sua società è integra”. L’economista spiega questo successo in tre punti: il disconoscimento del debito (default), i controlli sui capitali e la svalutazione della moneta. Di fatto si tratta dell’opposto rispetto all’approccio che sono costrette ad applicare le tormentate economie dell’Eurozona.
La crisi economica globale del 2008 ha portato l’Islanda al crack finanziario, prima di questo evento l’economia islandese era piccola ma ben sviluppata, con un PIL stimato sui 10 miliardi di dollari nel 2005 (e un reddito procapite di 52.764 dollari, uno tra i più alti del pianeta).
Nel 2009 tramite referendum il 93% degli islandesi ha scelto di non pagare il debito delle loro banche. Si è innescata così una sorta di rivoluzione silenziosa, che ha portato alle dimissioni del governo, alla scrittura di una nuova costituzione nel 2010, e soprattutto, alla nazionalizzazione della maggioranza degli istituti bancari e all’arresto dei banchieri che avevano portato il paese alla bancarotta.
Il movimento di protesta che sta rapidamente diffondendosi nei paesi del capitalismo avanzato, auto-denominatosi Indignados, da Atene a Madrid, da New York a Roma, chiede in ultima istanza ciò che gli islandesi hanno avuto il coraggio di fare pacificamente: ripudiare il debito. Questa tesi è sposata anche da intellettuali, come Giulietto Chiesa, che propone la nazionalizzazione delle banche, ed economisti, come Loretta Napoleoni, la quale auspica che “L’Italia faccia come l’Islanda, scelga il ‘default pilotato’ ed esca dall’euro“, con queste argomentazioni: “Se facesse quello che ha fatto l’Islanda, un’uscita pilotata dall’euro, succederebbe che l’Italia dovrebbe garantire la metà del debito nazionale che è nelle mani degli italiani e delle banche italiane, cioè 950 miliardi di euro. Questo si può fare con una patrimoniale secca che colpisca con un 5 per cento su quell’1 per cento della popolazione, cioè quelle 70 famiglie che detengono da sole il 45 per cento della ricchezza nazionale. Basterebbe questo per garantire il debito interno. Dopodiché per quanto riguarda il debito esterno, quello che è in mano alle banche straniere, su quello bisognerà fare una ristrutturazione. Si rinegozia come è successo per esempio a Dubai. Io ti pago 45 centesimi per ogni euro e si stabilisce un programma di pagamento nei prossimi 5 o 6 anni e mano a mano si paga. Dopodiché l’uscita dall’euro permetterebbe di tornare alla lira che si svaluterebbe immediatamente dando una spinta alle esportazioni e più competitività“.
Le ragioni di chi sostiene queste tesi trovano riscontro nell’esperienza reale della gente comune, alle prese con disoccupazione, riduzione del reddito e del welfare, precarietà indefinita e incertezza sul futuro delle nuove generazioni. La messa in discussione del mito dell’eterno sviluppo, fa ritenere ai giovani che, per la prima volta da diverse generazioni, a loro è destinato un minor benessere che ai loro genitori. Nel contempo le enormi differenze di ricchezza sono sempre più vistose e generano indignazione i compensi milionari corrisposti ai manager di banche, assicurazioni e fondi d’investimento, tra i maggiori imputati delle follie speculative che hanno portato al tracollo della finanza. Fa scandalo che, nonostante siano stati salvati dalla bancarotta grazie all’intervento pubblico, i colossi mondiali della finanza hanno continuato a distribuire premi milionari ai loro dirigenti.
Un’altra critica forte da parte degli Indignados riguarda la gestione del debito pubblico, soprattutto nei paesi PIIGS. In Italia e in Grecia in particolare, il debito ha alimentato una spesa pubblica dissennata, che ha generato nel migliore dei casi una pletora inefficiente di dipendenti pubblici, e nel peggiore, sprechi e corruzione. Perché devono essere chiamati tutti indistintamente a ripagarlo, quando chi lo ha contratto e ne ha beneficiato sono stati pochi privilegiati irresponsabili delle conseguenze? In ultima istanza, può il debito dei padri ricadere totalmente su figli e nipoti, anche se ne hanno usufruito ben poco?
I popoli si sentono frustrati nel constatare che, nonostante la democrazia formale, il potere rimane saldamente in mano all’oligarchia finanziaria e capitalista, mentre i governi eletti vedono i loro margini di manovra sempre più ristretti dal capitalismo globale. L’austerità imposta per far fronte ai dissesti bancari e speculativi, non è ben accetta in nessuna latitudine e la gente comincia a ribellarsi, tanto più quando i colpevoli sono sempre al loro posto ad arricchirsi, mentre alla maggioranza viene imposto di tirare la cinghia.
In un mondo ideale, i popoli dei paesi P.I.I.G.S. (o meglio G.I.P.S.I.) ricuserebbero le classi politiche e chiederebbero l‘uscita dall‘euro, unendo quindi le proprie debolezze per farne una forza comune, dando vita ad una unione monetaria più rispondente alle economie ed alle esigenze di questi paesi. Una moneta più debole dell’euro, ma più forte di lira, dracma, peseta, sterlina o escudo, con una maggiore flessibilità, in grado di ridare fiato alle economie nazionali e guadagnare in competitività. Il debito aggregato di tutti e 5 i paesi andrebbe convertito nella nuova moneta che successivamente potrebbe svalutarsi opportunamente. Le principali banche andrebbero nazionalizzate e i depositi garantiti da una banca centrale dei paesi GIPSI, meno ossessionata della BCE dall’inflazione e più attenta allo sviluppo economico. A tale banca sarebbe conferito il potere di emissione di valuta e titoli di debito pubblico. Infine i 5 paesi dovrebbero convergere in un breve periodo verso un sistema fiscale comune.
Anche così i sacrifici da affrontare sarebbero molti, ma senz’altro meno che nel caso di una uscita solitaria dall’euro. Inoltre 5 debitori hanno sicuramente più voce di uno solo, riuscendo forse ad imporre le proprie condizioni nella ristrutturazione del debito al resto dei creditori esterni.
Nel medio periodo si avrebbe una redistribuzione della ricchezza in Europa ed una maggiore stabilità finanziaria globale, e forse una maggiore giustizia sociale.
[This post has already been read 1933 times]