L’uscita della Grecia dall’Euro: 60% di svalutazione della moneta, default, collasso del settore bancario

“L’Euro non dovrebbe esistere”, recita la prima riga di una nota rilasciata da UBS martedì 6/9, che analizza la possibilità di un’operazione di break-up e conclude che i costi sono troppo alti da sopportare, sia per le “forti” che per le “deboli” nazioni europee.

Il costo dell’uscita di un paese periferico oscillerebbe da circa 9.500 € a 11.500 € a persona per il primo anno (13.360 $ a 16.172 $), per passare quindi da 3.000 € a 4.000 € all’anno per i successivi (4.219 dollari a 5.625 dollari), secondo UBS, insieme ad un collasso del sistema bancario nazionale, a fallimenti aziendali oltre quello del debito sovrano, ad una massiccia svalutazione della moneta, e un calo del volume degli scambi del 50% circa.

Nel caso di un paese “forte” come la Germania non è così male, ma rappresenta pur sempre un colpo notevole all’economia, un crollo nel settore bancario e una completa perdita di competitività delle esportazioni.

I ricorrenti problemi di debito sovrano in Europa sono aumentati al di là delle piccole nazioni periferiche e attualmente mettono a repentaglio l’esistenza di tutta l’Unione, come Italia e Spagna (la terza e la quarta economia all’interno del blocco) sono stati attaccati dalla speculazione e ora richiedono l’aiuto della BCE.

E’ noto oggi che l’UE è un progetto ambizioso che idealisticamente ha cercato di integrare l’Europa, socialmente, politicamente ed economicamente, ma non è riuscito a tenere conto degli squilibri interni.

La politica monetaria dell’UE è stata chiaramente disfunzionale, i tassi bassi hanno alimentato bolle speculative nei paesi periferici che, all’espandersi dell’economia dell’Unione europea, sono diventate sempre più grandi. “I politici in genere non riescono ad apprezzare che le minacce economiche possono anche presentarsi (temporaneamente) con un aspetto positivo, sotto forma di bolle”, recita la nota di UBS. Quando la bolla ha cominciato a sgonfiarsi, i programmi economici sottostanti sono crollati insieme.

La gravità dei problemi dell’Europa è cresciuta, i commentatori hanno cominciato a speculare sulla possibilità di un accordo di break-up della UE , sia nel caso che un paese decida di lasciare autonomamente, sia che possa essere costretto a lasciare da parte dei suoi pari. Questo lascia essenzialmente due scenari, che la nota di UBS prende in considerazione: uscita di un “paese debole” (Grecia, Irlanda, Portogallo, per esempio), e uscita di un “paese forte” (Germania, Francia, per esempio). Stiamo andando ad analizzare la prima.

Per inciso, gli analisti di UBS indicano le difficoltà giuridiche di un paese membro di abbandonare la zona euro. L’Unione europea, costituita da una serie di trattati tra cui il Trattato di Lisbona, il Trattato di Maastricht e il trattato di Roma, non contempla il caso di break-up, che richiederebbe una modifica dei trattati in una prolungata fase di limbo politico. Una nazione sovrana, però, potrebbe lasciare unilateralmente. Quindi cosa accadrebbe se, per esempio, la Grecia abbandonasse l’Euro?

I costi di uscita dall’Unione monetaria e creazione di una nuova moneta nazionale (NMN) sono enormi, secondo UBS. Il primo grande ostacolo sarebbe un default sovrano. Praticamente la secessione dall’Unione europea richiederebbe una ridenominazione del debito estero in NMN, in modo da garantire una sorta di controllo sul debito. “Questo costituirebbe un default agli occhi della maggior parte degli investitori.” Default significa miliardi di perdite per le banche dell’Unione europea, le banche locali, creditori e debitori probabilmente in tutto il mondo.

La svalutazione della moneta sarebbe grave. Mentre molti hanno detto che da un 15% a un 20% di svalutazione aiuterebbe i paesi deboli a guadagnare competitività, la situazione sarebbe molto più estrema: UBS stima che il nostro “paese debole” vedrebbe la sua moneta cadere del 60% (tenendo come precedenti l’Argentina e la caduta del’unione monetaria USA negli anni ’30 ). Questo, a sua volta, porterebbe ad un picco del costo del capitale.

“Ad una stima molto prudente, questo comporterebbe un aumento di 700 punti base del premio di rischio. Se il sistema bancario è completamente paralizzato allora il costo del capitale aumenta di fatto di un numero infinito. Nella paralisi estrema della finanza, il capitale non è disponibile a qualsiasi prezzo”.

L’aumento dei costi di capitale graverebbe sulle imprese locali, dalle grandi alle piccole, e sulle banche. Le aziende potrebbero crollare per l’inaridimento del finanziamento e la difficoltà di finanziarsi dall’estero (la gente deve accettare la nuova NMN). Il sistema bancario andrebbe completamente in collasso. Gli investitori si precipiteranno a ritirare i soldi in massa in risposta alla incertezza che circonda la rivalutazione forzata dei conti in NMN. Dalla nota:

Confrontandosi con le ovvie incertezze che circondano l’istituzione di una NMN, la risposta ovvia di chiunque con esposizione verso il sistema bancario secessionista è quella di prelevare denaro dalla banca il più presto possibile. Ciò potrebbe essere fatto elettronicamente – se il governo non mette in luogo rigorosi controlli sui capitali. In tal caso, il depositante saggio anticipando la creazione di una NMN, ritirerebbe i suoi soldi in forma fisica, li metterebbe in una valigia e li porterebbe oltre il confine internazionale più vicino – a meno che il governo sigilli i confini alla circolazione delle persone. In tal caso, il depositante sensato ritirerebbe i suoi soldi in forma fisica, li metterebbe in una valigia per seppellirla nel suo giardino. L’unico modo è chiudere il sistema bancario del tutto, o forse porre un limite alla quantità di prelievi che possono essere fatti nel periodo di transizione.

I costi di ricapitalizzazione del sistema bancario sarebbero probabilmente a carico dei depositanti. In Argentina, il governo ha fatto rispettare la conversione dei conti da dollari a pesos “al prezzo vecchio di cambio ufficiale” per poi svalutarlo rispetto al dollaro. Insieme ad una corsa agli sportelli prevista, i depositanti del nostro paese debole vedrebbero cadere il valore dei loro conti’del 60% nel caso di una svalutazione del 60%, secondo UBS.

Il commercio avrebbe un crollo completo, giacchè una svalutazione forzata non soddisferebbe una serie di partner commerciali poco disposti ad accettare la NMN denominata in beni che valgono il 60% in meno. Sarebbe ragionevole aspettarsi un crollo del 60% in risposta ad un deprezzamento del 60% della NMN, una analisi della Commissione europea “allude esplicitamente a”, secondo UBS, volumi di scambio verso il basso di circa il 50%.

Infine, insieme a un default generale, ci troveremmo ad affrontare disordini civili con la società spinta nel caos, picchi di disoccupazione e persone rimaste senza necessità di base, molto simile a ciò che si è visto in Argentina nel 2001-2002. Una valutazione molto approssimativa porta gli analisti di UBS a stimare che la secessione costerebbe ad ogni persona in questo paese dai 9.500 € ai 11.500 € il primo anno. “Queste sono stime prudenti. Le conseguenze economiche di disordini civili, disgregazione del paese, secessione, ecc, non sono incluse in questi costi “, avvertono gli analisti.

Agustino Fontevecchia © Forbes

(traduzione di Rosso Malpelo)

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