Per una moratoria dei debiti e il ritorno alla moneta-merce.

no-debtLa maggior carenza della politica dell’inizio di questo secolo è l’assenza di una visione del futuro, di un progetto di società che sappia superare le contraddizioni e le ingiustizie del modello attuale, ovvero del capitalismo neoliberista, diffusosi globalmente sul pianeta dal crollo (senza rimpianti) dell’Unione Sovietica in poi.

Venuta meno l’ideologia socialista, ciò che rimane sono i bisogni concreti e le aspettative di un’umanità che ha superato i sette miliardi di individui, che tuttavia non possono più essere soddisfatti con il modello economico attuale, basato sulla produzione industriale illimitata e lo sfruttamento intensivo delle risorse naturali, causa d’inquinamento ambientale e cambiamento climatico. Tale sistema non solo non è più sostenibile dal pianeta, ma è anche foriero di intollerabili sperequazioni sociali e distorsioni dei processi democratici.

La crisi che stiamo attraversando è chiaramente sistemica perché non riguarda solo l’economia, ma anche un ambiente terrestre fortemente alterato dall‘intervento antropico, nonché un modello politico-sociale incapace di garantire un futuro di pacifica convivenza, sostenibile e dignitoso, per tutti gli esseri umani.

Uno dei nodi fondamentali che la politica s’è dimostrata incapace d’affrontare è quello di una più equa distribuzione della ricchezza e delle risorse, a cominciare da quelle naturali, sempre più concentrate in poche mani dal modello socio-economico. Eppure una civiltà che voglia avere un futuro deve mettere al primo posto il tema della salvaguardia delle risorse vitali e della loro equa fruizione.

Il mondo è percorso da forti tensioni mentre i governi appaiono sempre più deboli ed inetti nell’affrontare i numerosi nodi che stanno arrivando al pettine dopo decenni di crescita della produzione, dei consumi, della ricchezza, della moneta, ma anche dello spreco, delle disuguaglianze, del debito, della povertà in vaste aree del pianeta e perfino nelle società opulente, del degrado ambientale, dell’aumento demografico e delle migrazioni di masse sempre più numerose di disperati. In una parola, del modello di sviluppo che il capitalismo globalizzato ha imposto, avvalendosi della terza rivoluzione industriale per incrementare ulteriormente i profitti, sia attraverso la creazione di nuovi prodotti ad alto contenuto tecnologico, sia sfruttando la tecnologia per aumentare a dismisura la produttività. I lavoratori non sono stati resi partecipi dei giganteschi profitti, che sono invece stati dirottati, negli anni più recenti, verso la speculazione finanziaria, quando il saggio di profitto industriale ha cominciato a declinare.

La libertà di movimento dei capitali e i trattati di libero scambio hanno permesso di rincorrere le condizioni più favorevoli di produzione ovunque nel mondo, ovvero tasse, salari e tutele sindacali sempre più bassi, che i paesi in via di sviluppo offrivano per attirare investimenti esteri. E’ così che la Cina s’è trasformata in pochi decenni nella fabbrica del mondo, poi anche là hanno imparato il gioco e si sono messi a produrre in proprio per un mercato di un miliardo e 300 milioni di persone, dimostrando al mondo che il capitalismo convive meglio con un regime totalitario, mentre i paesi più democratici sperimentano l’esplosione delle contraddizioni di uno sviluppo economico impetuoso quanto iniquo. Senza parlare del deserto sociale e ambientale che lasciano le aziende che de-localizzano all’inseguimento delle condizioni più favorevoli.

Non è un caso che l’Italia sia tra i paesi che più soffrono questa crisi sistemica, sia sotto il profilo economico-industriale, che quello politico-sociale. L’Italia è stata sempre un laboratorio di sperimentazione politica, sociale, economica; la nostra storia e cultura sono alla base di innovazioni che hanno spesso precorso tendenze poi diffusesi anche in altri paesi. Il popolo italiano è un enorme crogiolo di contraddizioni apparentemente inconciliabili, in cui coesistono altissimi ingegni e sordidi figuri, cittadini onesti e politici corrotti, altruisti volenterosi e lestofanti, artisti e imbroglioni. E’ tuttavia un popolo vecchio, che negli ultimi decenni s’è impegnato meno nelle cose importanti e distratto di più in quelle futili. Adesso i giovani sono pochi, cresciuti in un discreto benessere, non riescono ad entrare nel mondo del lavoro e a crearsi una loro vita, forse non percepiranno neppure una pensione. Una generazione dolorosamente consapevole per la prima volta di doversi accontentare di un minor benessere di quello raggiunto dai loro genitori, che farà ancora meno figli, accentuando ulteriormente il declino demografico del paese.

Eppure le spinte al cambiamento sociale sono sempre provenute dai giovani, portatori di nuove visioni e ideali. Solo nelle nuove generazioni possono essere riposte le speranze di un futuro migliore per l’umanità. Per ribaltare questo cupo declino italiano ci sarebbe bisogno di un cambiamento talmente profondo e condiviso da convogliare tutte le energie creative verso un nuovo modello di società, di economia, di vita. Una trasformazione i cui benefici siano rapidi e tangibili per tutti, come prospettiva di benessere, felicità, qualità della vita e dell’ambiente, e che possa essere d’esempio per altri popoli.

Il primo decisivo cambiamento da operare, ancor prima che economico, è culturale e consiste in una ridefinizione dei concetti di debito e moneta, e delle loro implicazioni, per arrivare a postulare una moratoria globale del debito e il ritorno ad una moneta-merce.

Gli stati sono indebitati, le corporation sono indebitate, le grandi banche sono indebitate, gli imprenditori sono indebitati, le famiglie sono indebitate. Tutti siamo in debito. Siamo sempre in debito. Nasciamo già con un debito nominale in carico, e a scuola ci insegnano fin da piccoli a vivere in una società fondata su crediti, ma soprattutto debiti. Quelle che una volta erano insufficienze scolastiche, ora si chiamano debiti, per preparare meglio la futura generazione di debitori, con la consapevolezza che ogni debito va rimborsato, anche a costo di svendere dignità e argenteria pur di ripagare debiti che non possono mai essere completamente estinti, perché è questo il segreto della gallina dalle uova d’oro, del denaro che si auto-replica.

Il debito ci ha trasformato in collettori di denaro ad ogni livello. Se prima dovevamo produrre per consumare, oggi dobbiamo produrre di più per pagare i debiti e consumare meno. E da un certo punto di vista è anche giusto che sia così, visto che noi europei stiamo consumando ben più della nostra quota di risorse planetarie. Il punto è che consumiamo a debito, e i creditori non sono i paesi poveri, ma i grandi capitali globali, verso i quali anche i paesi poveri sono a loro volta debitori.

Il senso di colpa generalizzato dall’essere debitori è rinforzato dalla convinzione indotta che i nostri debiti siano il frutto dello sperpero di denaro fatto nel passato, concetto espresso ottimamente nel luogo comune di aver vissuto al di sopra dei nostri mezzi. Lo stesso senso di colpa che prova la vittima dell’usura, che nella maggior parte dei casi si guarda bene dal denunciare l’usuraio.

A veder meglio, ogni debito è una scommessa fatta al di sopra dei propri mezzi, altrimenti non ci sarebbe bisogno di indebitarsi. Ma l’assimilazione luterana del debito al peccato si è andata purtroppo diffondendo dalla Germania e ha contagiato anche gli altri paesi europei, specialmente quelli della periferia in recessione, i cui popoli imbevuti di sensi di colpa collettivi e addestrati a vivere con i debiti, sono ora pronti per l’espropriazione finale: ovvero tutti i beni pubblici e demaniali.

Non c’è modo di uscire dalla spirale del debito, così come non si può sfuggire agli usurai, a meno di non ricorrere ad una azione violenta, da sé o con l’ausilio della giustizia. Solo che non c’è nessuna giustizia a cui rivolgersi, oppure se c’è, sta con i creditori. Il nostro destino è pagare, oppure fallire e perdere tutto. Già si intravedono i prodromi di un capitalismo darwiniano, che premia i più forti, i più grandi, i più spregiudicati, lesti ad approfittare delle difficoltà altrui per appropriarsi di beni, marchi, know-how e spazi di mercato.

Dalla fine del Gold Standard la moneta ha progressivamente perso ogni relazione con la creazione di ricchezza, divenendo solo un titolo di credito trasferibile, che presuppone l’esistenza di un debitore da qualche parte nel mondo. La moneta (intesa come aggregato) altro non è che il debito di tutti gli uomini, sempre più concentrato in poche mani. Essa svolge oggi lo stesso ruolo delle cambiali in mano allo strozzino: ci mette in suo potere. La moneta è in crescita costante perché il debito aumenta progressivamente, giacché qualsiasi cosa necessitiamo, dalla culla alla tomba, possiamo ottenerla solo indebitandoci con qualcun altro oppure pagando in moneta, che equivale a trasferire un credito.

Debiti e moneta in ogni sua forma, contante, titoli, azioni, obbligazioni, futures, cdo, cds, derivati, ecc, sono ormai le due facce della stessa medaglia. La moneta aumenta anche indipendentemente dall’aumento del debito, grazie a meccanismi riconducibili allo schema Ponzi, con cui viene creata ricchezza virtuale, che per diventare reale ha bisogno di corrispondere al debito di qualcuno. Dunque il debito non fa che aumentare al crescere della moneta. In fondo, il denaro contante non è altro che un particolare foglio di carta stampata, il cui valore iniziale tende però col tempo a diminuire, mentre il denaro elettronico, quello cioè depositato nelle banche, offre diverse possibilità di rendimento che almeno in parte compensano la perdita di valore reale. Eppure noi crediamo che dietro tutti questi pezzi di carta ci siano chissà quali solide garanzie, salvo accorgerci puntualmente allo scoppio di ogni crisi che al netto di tutto il loro valore è nullo. L’incapacità degli stati di proporre modelli alternativi di sviluppo non lascia intravedere un’uscita dalla crisi, questo genera sfiducia negli stati, e conseguentemente anche nelle monete fiduciarie che essi emettono.

Immaginiamo di voler ripristinare l’uso di una moneta merce, per spezzare il legame perverso con il debito e la sua crescita esponenziale. Oro e (soprattutto) argento hanno svolto il loro compito egregiamente per millenni, potrebbero tornare a svolgerlo? Lo Stato dovrebbe tornare a coniare moneta, certificando, con un signoraggio – poniamo – del 50%, il peso esatto delle monete, senza neppure bisogno di dargli un nome. Per esempio, ai valori attuali di mercato di oro e argento (rispettivamente 31,6 euro/grammo e 0,5 euro/grammo) potremmo avere (oltre gli spiccioli di valore fino ad 1 euro, che potrebbero continuare ad essere usati) 6 conii di altrettanti tagli diversi: da 2, 5, 10 e 20 grammi d’argento, e da 1,5 e 3 grammi d’oro, in sostituzione delle banconote da 5, 10, 20, 50 e 100 euro. Solo che l’aggregato monetario M1 (ossia contante più depositi bancari non vincolati) oscilla in Italia tra i 700 e gli 800 miliardi di euro. Considerato che le riserve auree della Banca d’Italia ammontano a circa 2.700 tonnellate, potrebbero venire coniate monete d’oro per un controvalore massimo di 85 miliardi di euro, mentre occorrerebbero altre 700.000 tonnellate d’argento per coniare il resto delle monete.

Come si vede bene, c’è troppa moneta in circolazione per essere trasformata in una qualunque moneta-merce, e ciò può giustificarsi solo con l’esistenza di un debito altrettanto grande cha la sostiene ed evita alla moneta di perdere valore.

In conclusione, solo passando per una moratoria generalizzata dei debiti e consentendo alla moneta di riacquistare la giusta relazione con la ricchezza reale, potrà essere intrapreso un cammino d’equilibrio sostenibile, stabilendo le diverse vie dello sviluppo umano non più in funzione degli interessi del capitale e della sua voracità, bensì in funzione dei bisogni e diritti della stragrande maggioranza dell’umanità.

P.S.: Il debito totale italiano, pubblico e privato, è arrivato nel frattempo al 400% del PIL

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Pubblicato da Rosso Malpelo

Libero pensatore