Più Europa

eurocrackIl formidabile blocco di potere che ha tracciato e guidato per quasi un trentennio il percorso d’integrazione economica e politica del nostro Paese nell’Unione Europea e nell’Eurozona, si sta disgregando. E questa è una buona notizia.

Quel blocco era costituito da due entità dagli interessi convergenti. Un’entità politica che ha posto l’utopia europeista a traguardo della propria azione, quasi come un surrogato della vecchia ideologia internazionalista. Formata da personalità storiche della sinistra che ne hanno fatto la propria missione politica. Sto parlando di Prodi, Napolitano, Ciampi, Amato, ma anche di Scalfari, Mattarella e Boldrini. Sto parlando di un’intera classe politica che, ammaliata dal sogno europeo dopo lo psicodramma del crollo dell’URSS, ha supinamente assecondato la costruzione di questa Europa e della sua moneta, senza riflettere a lungo su quell’interesse nazionale che si dava per già diluito nell’interesse comune europeo, mentre gli altri stati lo perseguivano spudoratamente ad ogni occasione, ed in special modo la Germania, che di quest’Europa è divenuta egemone.

L’altra componente del blocco di potere è stata quella economico-finanziaria. Fintanto che l’Europa ha significato l’espansione del proprio business e la progressiva compressione dei salari e dei diritti dei lavoratori, l’utopia europeista è stata pienamente condivisa dal capitalismo italiano, con l’eccezione forse delle piccole e piccolissime imprese, che sono state subito penalizzate dall’allargamento della concorrenza e dai regolamenti comunitari, ma queste erano perlopiù rappresentate dalla Lega Nord e non hanno mai avuto grande voce in capitolo, se si esclude un occhio di riguardo fiscale durante i governi di centrodestra.

Il popolo bue ha seguito la via che i suoi maitres a penser indicavano, con il supporto della propaganda dei media di regime e quelli del capitale. Il risultato è stato che gli italiani per lungo tempo hanno creduto nell’Europa unita senza se e senza ma, i più filo-europeisti tra tutti gli altri popoli. I governi s’alternavano, ma il percorso di integrazione non ha mai subito un ripensamento, una critica, ed è proseguito inesorabile fino all’inevitabile crisi. Da allora il sistema è andato avvitandosi su se stesso, l’Italia ha perso un quarto della sua produzione industriale, il Pil si è contratto del 7% e la disoccupazione è raddoppiata. Il combinato disposto di austerità più stretta creditizia, ha falcidiato imprese e redditi, mentre la domanda interna è stata lasciata crollare. La logica conseguenza è stato l’aumento delle insolvenze, cioè delle sofferenze bancarie.

Dopo aver a lungo imperversato tra le classi meno abbienti, la crisi, mai cessata, s’espande verso i ceti benestanti. Gli imprenditori in difficoltà sono preda delle banche, in un tragico mors tua vita mea. Quelli che possono, fuggono all’estero oppure vendono al miglior offerente la propria azienda fintanto che ha valore, in questo modo sono già passati in mani straniere decine di marchi storici italiani nell’indifferenza generale. Arriva alla fine a lambire quei poteri forti che sono sempre stati dietro le casseforti delle banche, quegli stessi che hanno spinto Matteo Renzi a palazzo Chigi, senza bisogno dell’investitura popolare. E siamo alla querelle di questi giorni tra il governo italiano e la commissione europea, che nasconde lo scontro in atto sul futuro del sistema bancario italiano e quindi del destino del nostro apparato produttivo. In ultima analisi del nostro destino di nazione libera, sovrana e indipendente, piuttosto che un paese commissariato dalla troika, come è accaduto recentemente alla Grecia, in perenne austerità. Esito questo ben visto a Berlino.

Mentre i contorni di questo dramma nazionale vanno delineandosi sempre più nitidamente, duole constatare che, a differenza della élite economica e finanziaria, la componente politica del blocco di potere che ci ha condotto verso il “sogno europeo”, si ostina ancora a proporre la panacea del “più Europa”, come la recente richiesta di Scalfari a Renzi di farsi artefice dell’istituzione di un ministro del Tesoro europeo, già lanciata da Mario Draghi, al fine di procedere verso un’Eurozona federale. Incuranti di ogni atteggiamento tedesco, gli irriducibili del più Europa continuano a proporre un matrimonio che nessuno vuole più davvero in Europa, ma rompere il fidanzamento non è possibile senza l’accordo del padrino americano.

Purtroppo le cose sono andate troppo avanti e, allo stato attuale, nessuno ha più il potere di mettersi di traverso. Non ce l’ha il sindacato, che sta vivendo la sua peggiore crisi da sempre. Non ce l’hanno i partiti che, dopo aver abbracciato acriticamente l’utopia europeista, lanciano ora segnali contraddittori, lasciando ancora più confuso un elettorato in continua emorragia. Non gli industriali, che hanno approfittato degli anni di vacche grasse per vivere sugli allori e speculare in borsa, guardandosi bene dall’adeguare i salari alla produttività, ed oggi annaspano per non affogare. Non ce l’ha più il sistema bancario, che ha lasciato sfumare un patrimonio di più di settant’anni di fiducia degli obbligazionisti, per miseri tre miliardi di euro, ed oggi si trova costretto ad affrontare un rischio sistemico, con i vincoli europei, stoltamente approvati, a fare da bastoni tra le ruote. Non ce l’ha Renzi, che dopo due anni di governo può vantare ben miseri risultati sul versante economico, con i poteri forti che lo hanno appoggiato che stanno chiedendosi se sia l’uomo adatto per affrontare la situazione, e se il PD sia ancora il partito di riferimento dei suoi interessi. Mentre ambienti finanziari anglosassoni cominciano a puntare sul cavallo grillino.

In estrema sintesi, ci stiamo risvegliando da un bel sogno, nel bel mezzo di una guerra. E come per ogni guerra, occorrerebbe coesione nazionale ed unità d’intenti, per non soccombere. Purtroppo in molti sono ancora addormentati, sognando gli Stati Uniti d’Europa. E come sonnambuli si aggirano tra noi continuando a farfugliare “più Europa”.

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Pubblicato da Rosso Malpelo

Libero pensatore