La rivincita dell’area valutaria ottimale

Paul Krugman – NYT 24 giugno 2012

Traduzione: Rosso Malpelo – l’originale è disponibile a questo link.

La creazione della moneta unica sarebbe dovuta essere un altro passo trionfante nel progetto europeo, nel quale l’integrazione economica è stata utilizzata per favorire l’integrazione politica e la pace, una moneta comune, secondo l’idea guida, avrebbe vincolato il continente ancora più strettamente insieme. Ma ciò che è accaduto, invece, è un incubo: l’euro è diventato una trappola economica, e l’Europa un nido di nazioni litigiose. Anche le conquiste democratiche del continente sembrano in pericolo, laddove le terribili condizioni economiche stanno creando un ambiente favorevole per l’estremismo politico. Chi avrebbe potuto prevedere l’arrivo di una cosa simile?

Beh, la risposta è che un sacco di economisti avrebbe potuto e dovuto vederla arrivare, e qualcuno l’ha fatto. Giacché abbiamo un pensiero di lunga tradizione sulle prospettive delle unioni monetarie, la teoria delle aree valutarie ottimali (A.V.O.) – e fin dall’inizio, questa teoria ha suggerito gravi preoccupazioni per il progetto euro.

Queste preoccupazioni sono state in gran parte respinte, all’epoca, affermando che la teoria era sbagliata, irrilevante, e che le eventuali preoccupazioni suscitate potevano essere affrontate con le riforme. Tuttavia i recenti avvenimenti hanno seguito molto le linee che ci si poteva aspettare dalla buona vecchia teoria di un’area valutaria ottimale, suggerendo persino sia il bisogno di espandere la teoria, sia che alcuni aspetti della teoria sono più importanti di quanto precedentemente ipotizzato.

In quanto segue, inizierò con una discussione molto breve e selettiva di ciò che io considero i punti chiave della teoria dell’area valutaria ottimale, e ciò che la teoria sembrava dire, circa due decenni fa, riguardo l’idea di una moneta unica europea. Più avanti parlerò della crisi, e il continuo rifiuto di molti leader di vederla per quello che è. Infine, alcune riflessioni sui possibili scenari futuri.

Mundell, Kenen, e le valute

I vantaggi di una valuta comune sono evidenti, anche se difficili da quantificare: costi di transazione ridotti, l’eliminazione del rischio di cambio, una maggiore trasparenza e probabilmente più concorrenza perché i prezzi sono più facilmente confrontabili. Prima della creazione dell’euro, un lavoro statistico sul numero limitato di coppie di paesi che condividevano una moneta, ha suggerito che la moneta unica europea avrebbe potuto produrre un’esplosione del commercio intra-europeo, che non è avvenuta, il commercio sembra essere aumentato modestamente come risultato della moneta unica, e presumibilmente corrispondente ad un aumento degli scambi reciprocamente vantaggiosi e quindi produttivi.

Gli svantaggi di una moneta unica provengono dalla perdita di flessibilità. Non è solo che un’area monetaria limita ad una “taglia adatta a tutti” la politica monetaria, ancora più importante è la perdita di un meccanismo per la regolazione. Giacché sembrava ai creatori dell’A.V.O., e continua a sembrare tuttora, che i cambiamenti nei prezzi relativi e dei salari sono molto più facilmente realizzabili tramite il deprezzamento della moneta che dalla rinegoziazione dei contratti individuali. L’Islanda ha raggiunto un calo 25 per cento dei salari relativi al nucleo europeo in un sol colpo, attraverso una diminuzione della corona. La Spagna probabilmente ha bisogno di una regolazione analoga, ma la regolazione, se può avvenire del tutto, richiederà anni di correzione deflattiva salariale a fronte di un’elevata disoccupazione.

Ma perché mai tali adeguamenti sono necessari? La risposta è: “shock asimmetrici”. Un boom o una  recessione da per tutto  in una area monetaria non pone particolari problemi. Ma supponiamo, per fare un esempio non del tutto ipotetico, che un vasto boom edilizio porti alla piena occupazione e all’aumento dei salari in parte, ma solo una parte, di un’area valutaria, seguito poi dal crollo. L’eredità di tali aumenti salariali del tempo del boom, sarà un settore commerciale non più competitivo e, quindi, la necessità di ottenere almeno che i salari relativi scendano di nuovo.

Così i vantaggi di una moneta unica hanno un costo potenzialmente alto. La teoria dell’area monetaria ottimale ci dice all’incirca di valutare il bilancio tra quei vantaggi e i potenziali costi.

Ora, quello che dobbiamo dire subito è che questo “bilancio” si svolge solo in senso qualitativo: a questo punto, nessuno dice che i benefici dell’introduzione dell’euro sono x  percento del PIL, y costi e x> y, così è l’euro. Invece, è più consono argomentare che la Florida è un candidato migliore per l’appartenenza alla zona del dollaro, di quanto la Spagna lo sia per l’appartenenza alla zona euro. Questo non significa necessariamente affermare che la Spagna ha fatto un errore unendosi all’euro – né necessariamente confutare la tesi che la Florida sarebbe stata meglio con una propria moneta! Ma la teoria si, almeno ci da una certa comprensione dei compromessi.

Dobbiamo anche dire che in pratica molto poco della teoria dell’area monetaria ottimale riguarda i benefici di una moneta unica. Ovviamente questi benefici sono legati alle potenziali interazioni economiche, non ci sarebbe nessun vantaggio nel condividere una moneta con, diciamo, una colonia su Marte, che non faccia quasi nessun commercio con la Terra, ed entrare nell’area dell’euro ha molto più senso per, diciamo, la Slovacchia di quello che ne avrebbe per la Mongolia. Ma quasi tutte le cose interessanti si ottengono dall’osservazione dei fattori che potrebbero attenuare i costi derivanti dalla perdita di flessibilità monetaria, che si ha con l’adozione della moneta di qualcun altro – che ci porta alle due grandi idee dell’A.V.O..

Il primo, Mundell, che nel classico scritto del 1961 ha sostenuto che una moneta unica è più probabilmente praticabile, se le regioni che condividono questa moneta sono state caratterizzate da una reciproca elevata mobilità del lavoro. (Ha detto proprio la mobilità dei fattori, ma il lavoro è quasi sicuramente quello che conta). In che modo?

Bene, supponiamo – di fare l’esempio non del tutto ipotetico – che lo stato del Massachusetts subisca un grande shock asimmetrico per la sua economia, che riduce drasticamente l’occupazione – che è, in realtà, quello che è successo alla fine degli anni ‘80. Se i lavoratori del Massachusetts non possono o non vogliono lasciare lo stato, l’unico modo per ripristinare la piena occupazione è quello di riconquistare i posti di lavoro persi, che probabilmente richiede un notevole calo dei salari relativi, per rendere lo stato più competitivo, con una diminuzione dei salari relativi, che è molto più facile se si ha una valuta propria da svalutare. Ma se c’è la mobilità del lavoro, la piena occupazione può invece essere ripristinata attraverso l’emigrazione, che riduce la forza lavoro ai posti di lavoro disponibili. Ed è quello che è realmente accaduto. La tabella 1 mostra le istantanee di economia del Massachusetts a tre date: 1986, l’altezza del “miracolo Massachusetts” incentrata sui minicomputer, nel 1991, dopo il passaggio al PC e lo scoppio di una bolla immobiliare aveva portato una grave recessione locale, e nel 1996. Si noti che il Massachusetts non ha mai riacquistato la quota di occupazione persa col crollo alla fine degli anni ’80. Ciononostante, a metà degli anni ’90, ancora una volta ha avuto un tasso di disoccupazione inferiore alla media nazionale, perché i lavoratori si sono trasferiti altrove.

Quindi questo è un tema principale della teoria un’area valutaria ottimale. Ma non è l’unico. C’è anche l’argomento di Peter Kenen, secondo il quale integrazione fiscale – una grande componente “federale” per la spesa a livello regionale o locale – può aiutare molto a trattare gli shock asimmetrici.

Facciamo ancora una volta un esempio non del tutto ipotetico, la Florida, dopo il recente crollo del settore immobiliare. L’America può avere un piccolo stato sociale per gli standard europei, ma è ancora abbastanza grande, con una spesa di grandi dimensioni, in particolare, il Social Security e Medicare – ovviamente entrambi un grosso problema in Florida. Questi programmi sono, tuttavia, pagati a livello nazionale. Ciò significa che se la Florida subisce uno shock asimmetrico sfavorevole, riceverà un trasferimento automatico di compensazione dal resto del paese: si paga meno nel bilancio nazionale, ma ciò non ha impatto sui benefici che riceve, e può anche aumentare i suoi benefici se provengono da programmi come sussidi di disoccupazione, buoni alimentari e Medicaid, che si espandono a fronte di difficoltà economiche.

Quanto è grande questo trasferimento automatico? La tabella 2 mostra alcuni numeri indicativi sulle relazioni finanziarie della Florida con Washington nel 2007, l’anno prima della crisi, e nel 2010, nelle profondità della crisi. I pagamenti fiscali in Florida per il DC [District of Columbia – Washington – ndt] sono scesi di circa 33 miliardi dollari, nel frattempo, i programmi speciali di disoccupazione finanziati dal governo federale hanno contribuito con circa 3 miliardi, il pagamento di buoni alimentari è aumentato di quasi 4 miliardi. Si tratta di circa 40 miliardi di dollari di trasferimenti di fatto, circa il 5 per cento del PIL della Florida – e questo è sicuramente un eufemismo, dato che c’è stato anche l’aumento di Medicaid dovuto alla crisi, e persino del Social Security, in quanto più persone hanno preso prepensionamenti o hanno fatto richiesta per pagamenti di invalidità.

Si potrebbe sostenere che, poiché i residenti della Florida sono anche dei contribuenti statunitensi, in realtà tutto questo non dovrebbe contare come un trasferimento. Il punto cruciale, tuttavia, è che il governo federale attualmente non affronta vincoli di prestito, e ha costi di indebitamento molto bassi. Quindi, tutto questo è un onere che sarebbe stato un vero problema se la Florida fosse uno Stato sovrano, ma viene tolto dalle sue spalle poiché non lo è.

Aspetta, c’è di più: le banche della Florida beneficiano del Federal Deposit Insurance; molte perdite sui mutui ricaddero su Fannie Mae e Freddie Mac, le agenzie di prestito sponsorizzate dal governo federale. Maggiori informazioni su questo sostegno finanziario a breve.

In sintesi, la teoria di un’area valutaria ottimale ha suggerito due cose importanti da osservare – la mobilità dei lavoratori e l’integrazione fiscale. E in entrambi i casi era evidente che l’Europa è scesa ben al di sotto l’esempio degli USA, con la mobilità del lavoro limitata e praticamente nessuna integrazione fiscale. Questo avrebbe dovuto mettere in pausa i leader europei – ma avevano i loro cuori impostati sulla moneta unica.

Perché hanno creduto che avrebbe funzionato? Non voglio provare a fare una storiografia dettagliata; lasciatemi solo dire che quello che mi ricordo dalle discussioni al tempo, era la convinzione che due fattori avrebbero reso i problemi di adattamento gestibili. In primo luogo, i paesi avrebbero dovuto adottare politiche di bilancio sane, e quindi ridurre l’incidenza di shock asimmetrici. In secondo luogo, i paesi avrebbero dovuto impegnarsi in riforme strutturali che rendessero i mercati del lavoro – e, presumibilmente, i salari – abbastanza flessibili per far fronte a tali shock asimmetrici, come si è verificato nonostante la solidità delle politiche di bilancio.

Anche al tempo, questo pareva a molti economisti americani un pio desiderio. Dopo tutto, gli shock asimmetrici non devono necessariamente derivare da politiche insostenibili – possono anche provenire da variazioni della domanda relativa di prodotti o, naturalmente, da cose come le bolle immobiliari. E i leader europei sembravano credere che si potesse raggiungere un certo grado di flessibilità dei salari, più o meno senza precedenti nel mondo moderno.

Tuttavia, il progetto è andato avanti. I tassi di cambio sono stati bloccati all’inizio del 1999, con il marco, il franco e così via ufficialmente diventati solo tagli dell’euro. Poi arrivarono le banconote reali – e tutti vissero felici e contenti, per un valore di “per sempre” < 11 anni.

L’euro crisi

Come ho appena suggerito, gli architetti dell’euro, nella misura in cui hanno preso la teoria di un’area valutaria ottimale affatto sul serio, hanno scelto di credere che gli shock asimmetrici sarebbero stati un problema relativamente minore. Ciò che è accaduto invece è stato la madre di tutti gli shock asimmetrici – uno shock, per amara ironia, causato dalla creazione dell’euro stesso.

In sostanza, la creazione dell’euro ha portato alla percezione da parte di molti investitori che i grossi rischi connessi con gli investimenti transfrontalieri in Europa erano stati eliminati. Nel 1990, nonostante l’assenza di controlli sui capitali formali, i movimenti di capitali e quindi gli squilibri di conto corrente in Europa sono stati limitati. Dopo la creazione dell’euro, tuttavia, c’è stato un movimento massiccio di capitali dal nucleo dell’Europa – soprattutto Germania, ma anche i Paesi Bassi – alla sua periferia, portando a un boom economico in periferia e tassi di inflazione significativamente più elevati in Spagna, Grecia, ecc., che in Germania.

Questo movimento in sé era un forte shock asimmetrico, ma relativamente graduale, e che la Banca Centrale Europea era disposta a sistemare con un po’ di inflazione sopra target. La questione divenne molto diversa, tuttavia, quando i flussi di capitali privati dal centro verso la periferia si fermarono all’improvviso, lasciando le economie periferiche con prezzi e costi unitari del lavoro ben al di sopra di quelli del nucleo. Improvvisamente l’euro si è trovato di fronte un grosso problema di regolazione.

Questo era il tipo di problema che la teoria dell’area valutaria ottimale aveva avvertito sarebbe stato molto difficile da gestire senza la svalutazione della moneta; gli euro ottimisti avevano creduto che le riforme avrebbero reso i mercati del lavoro sufficientemente flessibili per affrontare tali situazioni. Purtroppo, i pessimisti avevano ragione. La “svalutazione interna” – ovvero ripristinare la competitività attraverso la riduzione del salario al contrario della svalutazione – si è rivelata estremamente difficile. La tabella 3 mostra il costo orario del lavoro nei settori commerciali di molte economie periferiche, per valutazione comune, entrate nella crisi dei mercati del lavoro molto flessibili, anche così, e, nonostante la disoccupazione molto alta, hanno raggiunto, nel caso migliore dei cali di piccole dimensioni.

Quindi la teoria dell’area valutaria ottimale aveva ragione di affermare che la creazione di una moneta unica avrebbe comportato costi significativi, che a loro volta hanno fatto sì che la mancanza in Europa di fattori mitiganti, quali elevata mobilità del lavoro e/o integrazione fiscale, siano diventati un tema di grande rilevanza. In questo senso, la storia dell’euro è una crisi annunciata.

Però ci sono state alcune sorprese – purtroppo, nessuna di loro favorevole.

In primo luogo, per quanto ne so nessuno o quasi nessuno ha previsto che i paesi colpiti da shock asimmetrici avversi si fossero trovati ad affrontare oneri fiscali così grandi da mettere in discussione la solvibilità dello Stato. Come si è scoperto, i problemi di adattamento della zona euro si sono trasformati rapidamente anche in una serie di emergenze di bilancio. In questo senso, Kenen si è rivelato prevalente su Mundell: la mancanza di mobilità della manodopera non ha giocato un ruolo importante nella difficoltà dell’euro, almeno finora, ma la mancanza di integrazione fiscale ha avuto un impatto enorme, probabilmente facendo la differenza tra la semplice cattiva condizione dei “Stati di sabbia” in America, dove era concentrata la bolla immobiliare, e le crisi acute affrontate dalla periferia dell’Europa.

In secondo luogo, la teoria tradizionale dell’area monetaria ottimale ha prestato poca attenzione alle questioni bancarie; un piccolo pensiero è stato dedicato all’importanza delle garanzie delle banche nazionali, contrapposte alle garanzie bancarie regionali negli Stati Uniti. Col senno di poi, però, possiamo vedere quanto cruciali tali garanzie siano effettivamente state. I depositi nelle banche statunitensi sono garantiti a livello federale, in modo che i salvataggi delle banche non sono stati un peso per i governi statali, in Europa, i salvataggi delle banche hanno contribuito ai salti improvvisi del debito pubblico, in particolare in Irlanda, dove lo Stato, con l’assunzione dei debiti bancari ha aggiunto improvvisamente 40 punti al rapporto tra debito pubblico e PIL.

La combinazione di preoccupazioni sul debito sovrano e l’assenza di sostegno della banca federale, ha prodotto l’ormai famoso fenomeno del “loop Doom”, in cui i timori di default sovrano minano la fiducia nelle banche private che detengono molto del debito sovrano, costringendo le banche a contrarre i loro bilanci, portando il prezzo del debito sovrano ancora più in basso.

Poi c’è la questione del prestatore di ultima istanza, che risulta essere anche più ampia rispetto a coloro che hanno visto il loro premio Bagehot realizzato. Il credito per essersi concentrato su questa tematica va a Paul DeGrauwe, che ha sottolineato come le banche centrali nazionali siano istituti di credito potenzialmente cruciali di ultima istanza per governi e istituzioni finanziarie private. Lo Stato britannico in fondo non può affondare per una crisi in cui gli acquirenti dei titoli rifiutano di acquistare il suo debito, perché la Banca d’Inghilterra può sempre intervenire come finanziatore di ultima istanza. Il governo della Spagna, tuttavia, può dover far fronte ad una tale crisi – e c’è sempre il rischio che il timore di una crisi che porta al default, possa diventare una profezia che si auto-avvera.

Come DeGrauwe ha sottolineato, le prospettive di bilancio della Gran Bretagna non sembrano notevolmente migliori della Spagna. Tuttavia, il tasso di interesse sulle obbligazioni britanniche a 10 anni è dell’1,7% al momento, mentre il tasso sui Bonos spagnoli 10 anni è del 6,6%, presumibilmente il rischio di liquidità sta giocando un ruolo importante nella differenza.

Un confronto ancora più evidente è tra i paesi dell’area dell’euro e quelle nazioni che sono ancorate all’euro, ma in realtà non hanno adottato la moneta unica. Danimarca, Austria e Finlandia sono tutte comunemente riconosciute essere abbastanza in buona forma fiscale. Ma dove Austria e Finlandia sono nazioni con l’euro, la Danimarca è solo ancorata all’euro. Si potrebbe pensare che questa mancanza di impegno totale da parte della Danimarca le possa far pagare un prezzo sotto forma di tassi di interesse più elevati – dopo tutto, un giorno la Danimarca potrebbe decidere di svalutare. In realtà, però, gli oneri finanziari danesi sono significativamente inferiori a quelli di Finlandia e Austria. Per essere onesti, questo potrebbe rispecchiare il timore che tutti i paesi euro finiranno per essere contaminati dai problemi della periferia – per esempio, soffrendo pesanti perdite sui prestiti tra banche centrali. Ma una spiegazione più probabile è che la Danimarca è vista come una scommessa più sicura perché potrebbe, in una stretta di liquidità, rivolgersi alla sua banca centrale per il finanziamento, escludendo crisi che si auto-avverano, che pongono rischi anche per i governi dell’area dell’euro relativamente forti.

La linea di fondo qui sembrerebbe che le preoccupazioni sull’euro basate sulla teoria dell’area valutaria ottimale sono state effettivamente sottovalutate. I membri di una area valutaria, a quanto pare, dovrebbero avere un’alta integrazione delle garanzie bancarie e un sistema di prestatore di ultima istanza a disposizione degli Stati, nonché il criterio tradizionale di Mundell della elevata mobilità del lavoro e il criterio di Kenen di integrazione fiscale. L’area dell’euro non ha nessuno di questi.

Rendere praticabile l’euro

Non cercherò qui di fare proiezioni sul probabile esito della crisi dell’euro, dal momento che qualsiasi ipotesi sarà sicuramente superata dagli eventi. Invece, vorrei chiedere cosa si potrebbe fare per rendere praticabile l’euro anche se l’area valutaria non è ottimale.

Una risposta potrebbe essere una piena integrazione, in stile americano – gli Stati Uniti d’Europa, o almeno una “unione di trasferimento” con molto più in termini di compensazione automatica per le regioni in difficoltà. Questa, tuttavia, non sembra essere una possibilità ragionevole per decenni, se non per generazioni a venire.

Che cosa sulle correzioni più limitate? Vorrei suggerire che l’euro potrebbe essere reso praticabile se i leader europei convenissero quanto segue:

1. Sostegno delle banche in tutta Europa. Ciò comporterebbe sia una sorta di assicurazione dei depositi “federalizzati” e la volontà di fare salvataggi “tipo TARP” a livello europeo – cioè, se, per esempio, una banca spagnola è in difficoltà in un modo che minaccia la stabilità sistemica, ci dovrebbe essere una iniezione di capitale in cambio di partecipazioni da parte di tutti i governi europei, piuttosto che un prestito al governo spagnolo al fine di fornire l’apporto di capitale. Il punto è che il salvataggio delle banche deve essere separato dalla questione della solvibilità dello Stato.
2. La BCE come un prestatore di ultima istanza agli Stati, come lo sono già le banche centrali nazionali. Sì, ci saranno denunce di moral hazard, che dovranno essere affrontate in qualche modo. Ma ora è dolorosamente ovvio che eliminando la possibilità di fornire di liquidità da parte della banca centrale rende solo il sistema troppo vulnerabile al panico che si auto-avvera.
3. Infine, un livello di inflazione più elevato. Perché? Come ho mostrato nella tabella 3, l’esperienza euro suggerisce fortemente che la rigidità verso il basso dei salari nominali è un grosso problema. Questo significa che la “svalutazione interna” tramite deflazione è estremamente difficile, e probabilmente destinata a fallire politicamente, se non economicamente. Ma significa anche che l’onere dell’aggiustamento potrebbe essere sostanzialmente minore se il complessivo tasso di inflazione della zona euro è superiore, in modo che la Spagna e altri paesi periferici potrebbero ripristinare la competitività semplicemente in ritardo sull’inflazione nei paesi centrali.

Quindi, forse, l’euro potrebbe essere praticabile. Ciò lascia ancora aperta la questione se l’euro deve ancora essere salvato. Dopo tutto, visto tutto quello che ho detto, sembra comunque che l’intero progetto sia stato un errore. Perché non lasciarlo rompere?

La risposta, credo, è soprattutto politica. Non del tutto così – una rottura dell’euro sarebbe estremamente dirompente, con costi puntualmente alti di “transizione”. Inoltre, il costo duraturo di una rottura dell’euro equivarrebbe a una sconfitta enorme per il progetto europeo più ampio che ho descritto all’inizio di questo discorso – un progetto che ha reso al mondo un gran bene, e che nessuno che non sia cittadino del mondo vorrebbe vedere fallire.

Detto ciò, sarà una lotta in salita. La creazione dell’euro ha implicato, in effetti, la decisione di ignorare gli economisti e tutto ciò che avevano detto sulle aree valutarie ottimali. Purtroppo, si è scoperto che la teoria di un’area valutaria ottimale era essenzialmente giusta, errando solo nella sottovalutazione dei problemi con una moneta comune. E ora la teoria si sta prendendo la sua rivincita.

RIFERIMENTI
De Grauwe, Paul, “Governance di una fragile Eurozona”, VoxEU, maggio 2011.

Kenen, Peter: “La teoria delle aree valutarie ottimali: Una visione eclettica” in R.Mundell e A. Swoboda a cura di, problemi monetari dell’economia internazionale, The University of Chicago Press, 1969

Mundell, Robert: Una teoria delle aree valutarie ottimali, American Economic Review, 51 (4), 1961
Tabella 1: la mobilità della manodopera in azione
MA parti del tasso di occupazione degli Stati Uniti di disoccupazione MA tasso di disoccupazione degli Stati Uniti
1986 2,70 4,0 7,0
8,8 6,8 1991 2,48
1996 2,43 4,6 5,4

Tabella 2: Florida e federali

2007 2010
Entrate versate a DC 136,5 111,4
indennità di disoccupazione speciali 0 2,9
1,4 5,1 Buoni alimentari

Tabella 3: costo orario del lavoro nel settore delle imprese, 2008 = 100
2006   2007   2008   2009   2010   2011
Estonia  73,1     87,8    100,0   98,2   96,2    100,7
Irlanda   91,5    95,7    100,0  103,1 102,4  100,7
Lettonia 62,8    81,7    100,0    99,9   97,1    100,3

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3 Risposte a “La rivincita dell’area valutaria ottimale”

  1. […] qui sopra, ma anche di gente come Stiglitz (qui e qui – è solo un premio Nobel) o Krugman (qui – altro premio Nobel) che il problema principale dell’euro è che è un’unione […]

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