La Storia è sempre maestra, ma gli alunni spesso son somari

BayardAlle pendici del Vesuvio, tra i comuni di Portici e San Giorgio a Cremano, c’è il Museo Nazionale Ferroviario di Pietrarsa, proprio di fronte alla stazione di S. Giorgio a Cremano, che una targa ricorda essere la prima stazione ferroviaria d’Italia. Il museo sorge in quelle che furono le Officine Ferroviarie di Pietrarsa, primo nucleo metalmeccanico italiano, nato nel 1830 per volontà di Ferdinando II di Borbone. Decine di locomotive, carrozze ed altro materiale ferroviario documentano quasi due secoli di storia delle nostre ferrovie, a partire dalla prima linea realizzata in Italia nel 1839, da Napoli a Portici. In quelle officine si sono costruite e riparate centinaia di locomotive a vapore, arrivando ad occupare fino a 1200 lavoratori, ma dopo l’unità d’Italia lo stabilimento, passato sotto il controllo piemontese, iniziò il suo lento declino, non senza proteste e resistenze delle maestranze. Qui avvennero le prime agitazioni operaie, a cui il governo Sabaudo rispose nel 1863 con l’invio dell’esercito, che represse nel sangue le proteste, uccidendo 7 operai e ferendone altri 20. Ma il destino di quel gioiello industriale dell’epoca, che aveva affascinato lo Zar Nicola I in visita nel 1843, tanto che decise di replicarlo nel complesso industriale di Kronstadt, era ormai segnato, come gran parte dell’economia del Regno delle Due Sicilie. Era in atto quel processo di impoverimento del Mezzogiorno d’Italia i cui effetti si estendono fino al nostro presente.

Fa impressione oggi vedere quella che fu la prima linea ferroviaria italiana, che corre di lato al Museo, silenziosa e deserta dal febbraio di quest’anno, interrotta a causa di un crollo di parti di un edificio privato sulla sede ferroviaria, e non ancora ripristinata (se mai lo sarà). Così come fa impressione il degrado del patrimonio edilizio della zona, mai riqualificato e sempre più fatiscente. E’ come se il tempo si fosse cristallizzato ad un passato di splendore e sviluppo ormai irrimediabilmente perduto. In compenso altrove s’è costruito caoticamente fino a saturare quella che era una terra fertile ed accogliente ai piedi di quel vulcano che un giorno farà terra bruciata di tutto, incluso il Museo e le sue locomotive.

Eppure la gente è legata a quel luogo e alla sua memoria, lo si capisce dalla cura inusuale che gli abitanti gli dedicano, rendendolo un’oasi di pulizia e decoro, stazione compresa, nonostante siano mesi che non transitano più treni e i binari hanno perduto la loro caratteristica lucentezza.

E’ come un monito del destino che attende l’Italia con l’adesione alla UE e all’euro. Il mezzogiorno d’Europa che viene spogliato delle poche eccellenze industriali e depredato delle sue ricchezze artistiche e paesaggistiche, trasformandosi in serbatoio di mano d’opera emigrante e, nel caso migliore, luogo di vacanza per il settentrione d’Europa.

Un monito è anche l’enorme statua in ghisa di Ferdinando II, posta all’interno dello stabilimento, che porta ancora i segni delle fucilate garibaldine, mentre un’iscrizione ricorda che “lo scopo del sovrano era di svincolare lo sviluppo tecnico e industriale del Regno dall’intelligenza straniera”.

Ciò che accomuna quella storia con il nostro presente è la compiacenza del popolo che, allora come oggi, si consegna ai nuovi sovrani, subdolamente persuaso dalle sue classi dirigenti di andare incontro ad un futuro migliore. E invece… Che tristezza.

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Pubblicato da Rosso Malpelo

Libero pensatore