Ricchezza e denaro

La ricchezza prodotta dalla rivoluzione industriale in poi è stata incomparabile rispetto ai secoli precedenti. Una quantità enorme di beni è stata fabbricata e immessa sul mercato, per lo più migliorando la qualità della vita di milioni di individui. Eppure a ben vedere, ben poco di tutto ciò sopravvivrà per più di qualche generazione, a differenza dei pochi manufatti costruiti dalle civiltà che ci hanno preceduto. I nostri posteri (se esisteranno) studieranno la nostra civiltà dalle montagne di rifiuti che lasceremo sul pianeta.

Parallelamente è stato necessario accrescere anche la quantità di moneta disponibile per acquistare i beni che venivano prodotti in misura sempre crescente. Il denaro ha quindi iniziato ad aumentare a dismisura, favorito dall’effetto moltiplicatore dei depositi e prestiti. La moneta, svincolata dall’oro, è divenuta una merce essa stessa, sulla quale speculare al pari del grano, petrolio, oro ed altre commodities. Strumenti tecnologici evoluti sempre più complessi hanno infine consentito la sua virtualizzazione.

Negli ultimi anni l’aggregato monetario globale è aumentato esponenzialmente, passando da poco meno di due trilioni di dollari (1 trilione = 1.000.000.000.000) del 1970, ai circa 800 trilioni attuali, a fronte di un prodotto interno lordo mondiale che si aggira sui 70.000 miliardi di dollari. Una parte cospicua di questa massa di denaro è costantemente in cerca di impieghi remunerativi, ed è alla base dei fenomeni speculativi del mercato, che hanno acquistato una dimensione tale da sfuggire a qualunque barriera o difesa.

Il problema di fondo è che, mentre i beni prodotti sono destinati inevitabilmente a trasformarsi in rottami e spazzatura (con l’eccezione dei preziosi) in un tempo più o meno breve, l’equivalente monetario di una parte del loro valore rimane in circolazione, accrescendo la massa monetaria già esistente.

Un problema ignoto ai nostri antenati, che vincolavano la moneta all’oro, onde per cui poteva crescere solo all’aumentare dell’estrazione aurifera, o più frequentemente, per sottrazione forzosa dell’oro altrui.

Un altro fenomeno degno di nota è infine lo spostamento progressivo del capitale dagli investimenti produttivi alla speculazione finanziaria; in taluni casi attività industriali sono divenute il pretesto di speculazioni finanziarie ben più grandi del loro valore economico, come ad esempio per i crack Cirio e Parmalat in Italia. Ciò perché nel tempo i profitti realizzabili con speculazioni finanziarie (a volte al limite della truffa) sono andati via via surclassando i profitti da attività industriali, soprattutto nei paesi del post-capitalismo, favoriti anche da una fiscalità particolarmente favorevole e da un allentamento dei controlli.

Secondo Noan Chomsky: “Nel 1971, il 90 per cento delle transazioni finanziarie internazionali riguardava l’economia reale — investimenti commerciali o a lungo termine — e il 10 per cento era invece speculativo. Nel 1990 le proporzioni si sono rovesciate e nel 1995, in presenza di un movimento di capitali complessivamente molto maggiore, la componente speculativa ha raggiunto circa il 95 per cento, con flussi quotidiani regolarmente superiori alle riserve complessive in valute estere delle sette maggiori potenze industriali (oltre mille miliardi di dollari al giorno) e scambi a brevissimo termine (circa l’80 per cento dei capitali faceva “andata e ritorno” entro una settimana)“.

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Pubblicato da Rosso Malpelo

Libero pensatore