Cose di casa nostra

CampidoglioAmmetto di avere un po’ trascurato negli ultimi tempi le cronache politiche nazionali, probabilmente per una sorta di contrappasso verso il sistema dei media italiani, che viceversa dedica loro fin troppo spazio. Onestamente mi sembra che le nostre vicende politiche assomiglino ad una commedia all’italiana, messa in scena più per intrattenere e distrarre il pubblico pagante, che rappresentare un reale scontro politico nel quale interessi contrapposti si fronteggiano apertamente per affermare la propria visione della società ed attuare conseguentemente scelte politiche in tale direzione.

Il governo a geometria variabile del giovane fiorentino, con la sua marcia inarrestabile su welfare e lavoro, non è che il fidato esecutore di scelte politico-economiche operate altrove, fuori dai confini nazionali. Con furbizia il premier non eletto cerca di barattare a Bruxelles  le contro riforme con una maggiore flessibilità dei conti (anche facendo leva sulla crisi migratoria e le divisioni che sta scatenando tra gli europei), in modo da poter abolire l’IMU come annunciato. Così facendo, una delle più avanzate Costituzioni del mondo sta per essere demolita, secondo i desiderata dei grandi gruppi finanziari occidentali, come JP Morgan che arriva a metterlo per iscritto in un documento del 28 maggio 2013: “Dovete liberarvi delle leggi sinistroidi e antifasciste”. L’austerità farà parte del panorama europeo “per un periodo molto prolungato”.

Dopo l’artico 18 dello Statuto dei lavoratori, ora sta per essere demolito anche l’articolo 19, quello che prevede la contrattazione nazionale. Come al solito ci penserà il governo a supportare la manovra del padronato, semplicemente istituendo il salario minimo, rendendo automaticamente superata la contrattazione nazionale, che proprio a garantire condizioni minime di remunerazione in tutte le aziende serviva. E con ciò l’opera di demolizione dei grandi sindacati operai sarà quasi del tutto compiuta, mancherà solo l’attacco al diritto di sciopero, i cui prodromi già si intravedono.

Questa formidabile aggressione al reddito ed ai diritti dei lavoratori non è opera recente né risulta essere confinata al solo nostro paese. Essa è stata portata avanti nell’ultimo quarto di secolo indifferentemente da governi di centrodestra e centrosinistra, attraverso la precarizzazione del lavoro, il peggioramento delle condizioni previdenziali, il declino del principio di progressività nell’imposizione fiscale e la privatizzazione di ampi settori economici. Come conseguenza, le condizioni di vita dei lavoratori salariati e della classe media in generale sono andati progressivamente peggiorando, mentre aumentava la distanza con le classi agiate, che viceversa hanno visto crescere non di poco la propria ricchezza.

Svuotamento delle istituzioni democratiche ed attacco alle condizioni dei lavoratori sono andati di pari passo in molti paesi, soprattutto in Europa. La recente crisi greca ha finalmente chiarito la reale portata del potere soprannazionale del capitale, contro cui nulla può il voto espresso dai cittadini. Ininfluente pure nelle questioni di geopolitica, trattati economici e uso dello strumento militare, decisi parimenti in altri consessi e da altri soggetti. Ecco dunque che l’astensione aumenta ovunque divenendo il vero vincitore di ogni elezione.

La morale sembra essere una sola: la maggioranza del popolo conta sempre meno e il modo per far sentire la propria voce non passa più per quegli strumenti democratici che per alcuni decenni parevano garantire un certo benessere diffuso insieme alla pace sociale. Il mondo è in guerra e le classi dominanti di ciascun paese utilizzano lo stato d’emergenza per consolidare il proprio potere e ricacciare le masse nei recinti del bisogno, della paura e dell’ignoranza, affinché non abbiano a rimettere in discussione il potere delle elite o l’ineluttabilità della guerra. Anche se quelle stesse elite hanno truccato prove di armi di distruzione di massa, bilanci di società “too big to fail”, tassi d’interesse di riferimento, valore delle azioni, grado d’inquinamento industriale e persino il livello d’emissioni nocive delle automobili. Ma a pagare il conto è sempre chiamato qualcun altro.

 

A questo già sconfortante quadro va aggiunta la vicenda delle recenti dimissioni del sindaco di Roma, Ignazio Marino, atto della triste commedia politica italiana di cui parlavo all’inizio, messo in scena per distrarre romani ed italiani dal reale gioco d’interessi economici che si nasconde nelle pieghe di un bilancio da sei miliardi di euro e quasi sessantamila dipendenti, tra diretti ed indiretti, di cui i fondi stornati dalla cricca di Mafia Capitale sono solo bruscolini. Per certi versi richiama alla mente la strategia dei grandi trafficanti di stupefacenti, che sacrificano volentieri i piccoli corrieri per far transitare senza problemi i grossi carichi. L’avvio dell’Anno Santo è prossimo e occorre “fare presto”.

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Pubblicato da Rosso Malpelo

Libero pensatore