Eurocrack

pump_euro_balloonDopo la bocciatura degli olandesi dell’accordo UE-Turchia sui profughi, le recenti elezioni presidenziali in Austria hanno sancito la svolta euroscettica anche degli austriaci, malgrado la sospensione di fatto del Trattato di Schengen messa in atto dal governo socialdemocratico, nel tentativo di cavalcare la crescente xenofobia. L’imminente referendum inglese sulla permanenza nella UE sta diffondendo il panico nelle cancellerie, tanto che persino il presidente USA Barak Obama s’è sentito in dovere di fare campagna per la permanenza nell’Unione, durante il suo recente viaggio in Gran Bretagna. Tuttavia, come l’effetto serra che scioglie inesorabilmente i ghiacci dell’Artico, il combinato disposto da sette anni di crisi economica e tre di migrazioni eccezionali, sta rapidamente dissolvendo il consenso popolare attorno alla costruzione di un’Europa unita. Ovunque gli elettori reagiscono rivolgendosi verso nuove forze e movimenti euroscettici, mandando in pensione i vecchi partiti che, perduta ogni peculiarità, hanno indifferentemente governato in alternanza o in grandi coalizioni, attuando puntualmente le medesime politiche e finendo per essere indistinguibili gli uni dagli altri. E’ accaduto in Grecia, in Portogallo, in Polonia, in Ungheria, in Spagna. Sta accadendo in Austria e Germania. Avverrà anche in Francia e in Italia. Ma, come sempre succede quando una ventata di cambiamento sta per travolgere il vecchio decrepito sistema, chi è al potere è l’ultimo ad accorgersene, aggrappato alle proprie inamovibili certezze che suggeriscono solo dosi ulteriori delle stesse inefficaci terapie, e che oggi si chiamano più Europa, più rigore, più austerità, più riforme. Non s’accorgono di quanto la gente sia stanca di austerità e rigore, che hanno generato solo disoccupazione e deflazione. Di quanto i popoli, soprattutto in tempi di vacche magre, possano diventare egoisti e pensare ognuno per se. Il progetto europeo è stato condiviso in quanto foriero di pace, libertà e benessere, ma ora la pace traballa, la libertà si restringe e il benessere svanisce. Non c’è più pace ai confini d’Europa mentre i nostri governi continuano ad esportare armi e conflitti. Il terrorismo prodotto dalle nuove guerre asimmetriche, ci costringe a comprimere la nostra libertà. Ma sopratutto la crisi del capitalismo e le misure d’austerità adottate per farvi fronte, hanno sensibilmente ridotto il benessere dei ceti medio-bassi, insieme ai diritti conquistati a fatica nei decenni dai lavoratori, spazzati via in poco tempo dalla disoccupazione. Infine, i milioni di profughi provocati dalle scellerate politiche d’ingerenza delle grandi potenze negli affari degli altri paesi, specialmente quelli ricchi di risorse naturali, ci stanno presentando il conto, premendo ai confini d’Europa e scatenando una corsa al ripristino delle frontiere, ottimisticamente abolite dal Trattato di Schengen.

Si sta dissolvendo quel blocco maggioritario di governi capeggiati dalla Germania, in grado di imporre la linea a tutti gli altri paesi. Di asse Franco-Tedesco non se ne parla più già da un po’. Alla vigilia dell’uscita della Gran Bretagna dall’Unione, il rompete le righe è nell’aria, mentre il Fiscal Compact è ormai quasi lettera morta. Ciascun governo si dispone alla difesa dei propri interessi, siano essi di ordine demografico che economico. L’Italia ad esempio è stata lesta a rivendicare maggior flessibilità dei conti e a bocciare decisamente la proposta tedesca di porre un tetto ai titoli pubblici detenuti dalle banche, anche se in pratica ciò si traduce in un ulteriore aumento del debito pubblico. Però se lo spread inizia a salire nonostante il Quantitative Easing della BCE, è segno che qualcuno comincia a vendere titoli di stato italiani, magari perché pensa che presto o tardi un rating dei titoli detenuti dalle banche verrà introdotto e ritiene più saggio disfarsene ora, che attendere tensioni maggiori sul sistema bancario.

A cavallo del referendum sulla Brexit, rischia di riacutizzarsi la crisi greca in concomitanza con i prossimi pagamenti dovuti. Lo scontro tra FMI e il governo tedesco è ormai davanti agli occhi di tutti, il Fondo non parteciperà ad un nuovo salvataggio della Grecia in assenza di un taglio del debito che lo renda rimborsabile, ma la Germania non lo può accettare perché equivarrebbe ad una socializzazione del debito e punta invece ad un’ulteriore dilazione. Finirà che la Grecia non otterrà alcun taglio del debito, dovrà sostenere ulteriori sacrifici e rimanere col cerino acceso in mano dei profughi respinti alle frontiere con l’Europa centrale, in cambio riceverà un altro prestito che le consentirà di tirare avanti un altro po’. Lo accetteranno i greci?

Nel frattempo si andrà a votare di nuovo in Spagna, perché a 5 mesi dalle elezioni nessun governo riesce ad ottenere la fiducia del Parlamento. E si voterà anche in diverse importanti città italiane, capitale compresa. Altre crepe che si espandono sulla costruzione europea e non manca ancora molto al suo crollo.

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Pubblicato da Rosso Malpelo

Libero pensatore