La nuova Italia

IlPopolo25Aprile1943A circa un anno e mezzo di distanza dalla Grecia, anche in Italia “stiamo assistendo alla formazione di un blocco storico, mai visto nella vicenda nazionale, neppure ai tempi bui del fascismo: un blocco che cancella le differenze di ruoli tra le istituzioni (Esecutivo e Legislativo diventano tutt’uno), che elimina le diversità delle opzioni politiche (PD-FI e il resto della minuteria “moderata” ormai vanno verso una identità sostanziale, con leggere sfumature che hanno il mero scopo di preservare una identità ai fini elettorali), che toglie persino il velo alla relazione strettissima tra potentati economico-finanziari e apparati politici”, per usare le parole di Angelo D’Orsi. Proprio come in Grecia, dove due tornate elettorali ravvicinate hanno costretto all’ammucchiata di tutti i vecchi partiti per contrastare l’ascesa dell’unica forza d’opposizione, Siriza, anche da noi si va delineando una legge elettorale maggioritaria, molto simile a quella greca.

Forse proprio specchiandoci nei nostri cugini al di là dell’Adriatico, possiamo riuscire a capire il percorso obbligato che l’adesione alla UEM impone ai paesi periferici colpiti da uno shock economico e costretti alla svalutazione interna. La Grecia ha perso buona parte della sua sovranità economica nel momento in cui s’è sottoposta ai piani di risanamento della troika, le sue condizioni sono talmente peggiorate a causa delle politiche di austerità imposte, che persino il FMI ha ritenuto di dover far autocritica. Ciononostante la forza dei suoi creditori è tale che la ricetta non cambia e per continuare a somministrarla, non importa se una casta politica corrotta e responsabile di anni di cattiva gestione, sia stata costretta ad una grande ammucchiata pur di conservare i propri privilegi e far ingoiare la deflazione al popolo.

Anche l’Italia è stata commissariata nell’estate del 2011, a partire da quella lettera della BCE al governo, in cui venivano dettate le condizioni per continuare nell’acquisto di titoli pubblici. Quelle condizioni non furono tutte ottemperate e poco dopo Berlusconi fu costretto alle dimissioni. Da quel momento garante nei confronti dell’Europa (leggasi Germania e BCE) s’è autoproclamato Napolitano, artefice del governo tecnico d’emergenza di Mario Monti, in ottemperanza ai desiderata stranieri, omettendo di dare la parola al popolo, come sarebbe stato suo compito costituzionale.

Purtroppo Napolitano non ha potuto evitare le elezioni di fine legislatura, ma ne ha calibrato bene i tempi, premunendosi di distribuire le carte anche al nuovo tavolo. Il risultato del voto (com‘era prevedibile) ha punito tutta la vecchia classe politica, Lega e PDL hanno perso circa la metà del loro consenso rispetto alle precedenti elezioni, mentre il PD ha preso circa il 30% in meno di voti. Il partito fondato dall’ex presidente del Consiglio Monti è riuscito a stento a superare la soglia di sbarramento. Il vero vincitore delle elezioni è stato il M5S che ha guadagnato il 25% dei consensi al suo debutto.

Vent’anni dopo l‘introduzione del maggioritario, l’Italia non è più bipolare, ma tripolare. La contrapposizione calcistica Berlusconismo-Antiberlusconismo, che ha ingabbiato il dibattito politico del paese in sterili diatribe per due decenni, era finalmente infranta. Tale evento metteva improvvisamente a nudo la realtà di un bipolarismo, che aveva consentito alle stesse facce di alternarsi al potere per lo stesso tempo senza che il paese ne avesse tratto vantaggi, anzi.

Messa di fronte al baratro del proprio dissolvimento, la casta politica (dietro la quale, non dimentichiamolo, ci sono fortissimi interessi economici) ha messo da parte ogni reticenza ed ha avallato la grande ammucchiata, battezzata per l’occasione “Larghe intese”. PD e PDL che avevano condotto la campagna elettorale all’insegna dell’incompatibilità reciproca, davano ora luogo ad una maggioranza organica ed un governo politico, superando persino la fase dell’appoggio al governo tecnico di Monti.

Napolitano, sponsor delle larghe intese, è stato chiamato dai partiti della grande ammucchiata a svolgere nuovamente il ruolo di garante verso l’Europa, connotandosi ancora meno arbitro super partes nella politica italiana, ignorando, bacchettando e sminuendo ad ogni occasione l’unica opposizione politica, nonché facendosi paladino di una riforma elettorale che desse maggiori garanzie di stabilità, in altre parole che consentisse ai vecchi partiti di continuare a scambiarsi felicemente i ruoli di opposizione e maggioranza, favorendo in maniera bipartisan gli interessi forti alle loro spalle.

Con la nascita del blocco storico, sancito dal raddoppio del mandato di Napolitano e gli accordi per la formazione del governo Letta, tutto sarebbe filato liscio almeno fino a dopo il semestre italiano di presidenza UE, il PDL aveva ottenuto molte poltrone e l’impegno per l’abolizione dell’IMU, ma ad agosto la Cassazione ha fatto precipitare la situazione giudiziaria di Berlusconi, rendendolo definitivamente pregiudicato. Ha provato il Cavaliere a sbraitare e minacciare, ma ormai era in un vicolo cieco e quando il Senato ha votato la sua decadenza, non ha potuto far altro che togliere l’appoggio al governo, consentendo tuttavia la formazione di un nuovo gruppo fuoriuscito dal PDL per mantenere ancora in vita il governo Letta. Se avesse voluto, con la sua potenza di fuoco, avrebbe potuto disintegrare gli esponenti del NCD, da lui stesso creati, ma con Matteo Renzi che s’apprestava a prendersi il PD, meglio lasciar sopravvivere il governo ed attendere gli eventi.

Il PD di Bersani aveva perso la scommessa di vincere le elezioni ed arrivare al governo, magari con l’appoggio di Monti, e il segretario s’è trovato a pagare subito per quella sconfitta, ma soprattutto per aver fatto digerire al partito le larghe intese con Berlusconi. Matteo Renzi ha avuto la strada spianata verso la segreteria per il discredito che la classe dirigente di quel partito ha saputo concentrare su di se, soprattutto tra la base. A quel punto, qualunque volto nuovo sarebbe stato meglio, ma il sindaco di Firenze non è un volto totalmente nuovo, è giovane, ma in politica da un tempo sufficiente per affinare la sua strategia e costruirsi una rete di appoggi importanti (e ricchi).

Con l’avvento di Renzi alla segreteria del PD, anche l’ultimo partito non personalistico rimasto in Italia sposa il modello del leader carismatico. L’immagine nuova è quella delle decisioni non più frutto di discussioni e compromessi, ma imposte dal leader, forte dell’investitura popolare (come ha sempre pensato Berlusconi). Renzi parte in quarta, affrontando per prima quella che era divenuta una pericolosa falla nel sistema, ovvero la nuova legge elettorale scaturita dalla sentenza della Consulta. Le modifiche della Corte hanno reso il Porcellum costituzionale ed utilizzabile, nessuno potrebbe opporsi al ritorno alle urne con questa legge con argomenti di legittimità. E infatti l’argomento usato è quello dell’ingovernabilità che scaturirebbe da un Parlamento eletto con questa legge, cosa tutta da dimostrare.

Per varare rapidamente una nuova legge che preservi il bipolarismo, Renzi sa che deve accordarsi con Berlusconi, che oltre ad avere ancora una forte presa nell’elettorato di centrodestra, è anche il più convinto sostenitore di quel sistema. Così decide di resuscitarlo, passando sopra allo status di pregiudicato e alla decadenza da senatore, mettendo nell’angolo i critici nel suo partito, visto che le larghe intese erano stati proprio loro ad avallarle. Il nucleo dell’accordo è tra il PD e FI, i partiti minori possono solo adeguarsi, e se ad Alfano va stretto, per restare al governo deve fare buon viso a cattivo gioco.

Rimane comunque una situazione ambigua, dove il governo Letta, nato dall’accordo tripartito Napolitano, Bersani, Berlusconi, è tenuto in vita da Renzi che non ha mai nascosto il suo obiettivo di arrivare a palazzo Chigi e che coglie ogni occasione per smarcarsi dal premier e nel caso bacchettarlo. I fuoriusciti del PDL, che hanno dato vita al NCD, si ritrovano stretti tra il rischio di elezioni a breve con il proporzionale oppure tra un anno con il maggioritario a forzatura bipartitica e, visto che in entrambi i casi non riusciranno a sottrarre granché al consenso del Cavaliere, la loro scelta si riduce se rimanere o meno al governo per un altro anno, con una delegazione molto sovradimensionata rispetto al loro reale consenso nel paese.

Che Renzi voglia andare a votare tra un anno, con la crisi che non accenna a migliorare ed il governo Letta in sofferenza, fidato esecutore delle direttive europee, appoggiato da Napolitano e dai poteri forti nazionali, dissipando in tal modo il forte consenso fin qui ottenuto, è poco realistico. Ciò a cui mira invece il segretario PD è di andare a votare al più presto con una legge che gli garantisca ampi margini di governabilità, anche a scapito delle forze politiche minori e del principio della rappresentatività parlamentare. E’ molto probabile quindi che quando la legge elettorale in esame al Parlamento sarà varata, si vada rapidamente a votare. Probabilmente per Renzi l’ipotesi migliore sarebbe quella di tornare alle urne in concomitanza con le elezioni europee, ma i tempi per l’approvazione della legge e la definizione dei collegi (delegata al ministro Alfano) potrebbero non consentirlo. L’alternativa potrebbe essere il voto in autunno, anche se coinciderebbe con il semestre italiano di presidenza europea e Napolitano non ne sarebbe entusiasta.

Berlusconi ha già ottenuto un grosso risultato, tornando al centro della scena politica con l’accredito del giovane Matteo Renzi, che ha dichiarato profonda sintonia col Cavaliere. Il prossimo traguardo sarà una legge elettorale maggioritaria a forzatura bipolarista e alte soglie di sbarramento, in modo da poter riassemblare il centrodestra, storicamente in maggioranza nel paese, e puntare a superare il 37% dei voti. Il suo rientro nelle istituzioni verrà da se dopo la vittoria. Anche per lui il voto anticipato è ovviamente meglio dell’affidamento ai servizi sociali per lunghissimi nove mesi.

E veniamo al terzo incomodo, il M5S di Grillo, che attualmente rappresenta l’unica opposizione al blocco storico costituitosi, nonostante l‘inesperienza e l‘ingenuità dei suoi eletti, l‘assenza di radicamento nel territorio, la pochezza dei mezzi di comunicazione e, soprattutto, l‘attacco continuo da parte di TV e giornali. La sua vittoria elettorale è stata fin da subito sminuita, con il resto del quadro politico che si è rifiutato di considerare il M5S come legittima opposizione, piuttosto è stato isolato politicamente e criticato da tutti i mezzi d’informazione. Cariche istituzionali che per prassi erano destinate all’opposizione, come la presidenza di uno dei due rami del Parlamento e di alcune commissioni parlamentari, sono state allegramente assegnate a figure contigue con il blocco storico, in barba alla prassi parlamentare.

Violazioni della prassi sono state commesse anche dal presidente della Repubblica, in occasione delle consultazioni politiche e della nomina della cosiddetta commissione di saggi per le modifiche costituzionali. Così come recentemente la presidente della Camera, che ha ritenuto di dover applicare per la prima volta nella storia della Repubblica la cosiddetta “ghigliottina” al dibattito parlamentare, nonostante il regolamento della Camera non lo preveda, per poi accusare il M5S di eversione dopo le prevedibili proteste seguite alla sua decisione.

Con la sua rinuncia al finanziamento pubblico e il taglio degli emolumenti percepiti dai propri eletti, il M5S rappresenta una pericolosa anomalia per un sistema politico sviluppatosi sul criterio della reciproca ricattabilità e da molti anni asservito agli interessi economici forti. Da lungo tempo i partiti ci avevano disabituati alla presenza di una vera opposizione e per quanti sforzi faccia l’informazione di regime nel dipingere volta per volta il M5S a tinte fosche o carnevalesche, nella gente comune rimane l’impressione che esso costituisca l’unica vera forza in grado di scardinare il sistema.

I vecchi saggi di regime, terrorizzati da tale possibilità, sono addirittura arrivati a paragonare il M5S al fascismo, accusandolo di squadrismo, dimenticando che lo squadrismo fascista è nato prima nelle piazze, con la violenza verso socialisti e sindacalisti, per poi approdare al Parlamento in doppio petto, grazie anche ai ricchi appoggi fornitigli dai capitalisti italiani ed al golpe bianco attuato dal re. Dimenticando che la legge elettorale che il blocco storico vuole approvare è ancor peggio della legge Acerbo varata dal fascismo. Tralasciando che se c’è stata violenza fisica in Parlamento, sono i deputati del M5S ad averla subita.

Il M5S si ritrova a combattere una lotta impari, dotato di un semplice blog in rete, mentre il sistema può disporre di tutte le TV, radio, giornali e svariati siti in rete. Per questo la loro battaglia ha ancora più valore, mentre ogni loro atto viene messo sotto la lente d’ingrandimento, in una sorta di metodo Boffo collettivo. I loro leader – Grillo e Casaleggio – vengono continuamente demonizzati e accusati di essere i padroni del M5S, dimenticando che tutti i candidati del M5S alle elezioni sono stati scelti per mezzo delle parlamentarie in rete, mentre anche il PD, cha ha fatto le primarie, ha presentato un listino bloccato di candidati nominati dalla segreteria, per non parlare degli altri partiti in cui tutti i candidati sono stati scelti dalle segreterie.

L’obiettivo che il M5S si è dato è la cacciata dell’intera vecchia classe politica, per ottenere ciò è necessario che alle elezioni il Movimento raggiunga la maggioranza assoluta, visto che si esclude qualsiasi accordo con i partiti accusati di aver portato l’Italia al disastro. E’ indubbio che, contrariamente alla preferenza per il proporzionale espressa dagli iscritti nel referendum in rete sul sistema elettorale, il maggioritario con forzatura bipartitica e forte premio di maggioranza, sarebbe più adatto ad ottenere l’obiettivo dichiarato. Mentre sui tempi per il ritorno alle urne, anche al M5S tornerebbe comodo accorpare le politiche alle europee, cavalcando il diffuso sentimento antieuropeo.

Fin qui il quadro politico e le plausibili strategie degli attori principali, ma il peggioramento delle condizioni economiche degli italiani imporrà presto di affrontare il cuore del problema, malgrado i tentativi di distogliere l’attenzione e gli annunci di future riprese, ovvero la permanenza dell’Italia nell’eurozona. Ora che anche Prodi dichiara candidamente che il livello di cambio ottimale per l’Italia sarebbe di 1,10 – 1 dollari per euro, cioè che servirebbe una bella svalutazione, difficilmente si riuscirà ad eludere ancora a lungo il problema. Saranno soprattutto gli imprenditori a mettere presto al centro del dibattito la questione, pena la completa desertificazione industriale del paese, o, per dirla con Krugman, la mezzogiornificazione dell’Europa periferica.

Ancora una volta l’Italia si troverà di fronte ad un bivio della sua Storia: continuare la svalutazione interna e la perdita di ricchezza e lavoro pur di rimanere nell’euro, oppure violare i patti e tornare indietro sui propri passi. Come nel luglio del 1943, il Paese capirà che perseverare costerebbe ancor più caro, ma tirarsi indietro farà crollare l’intero sistema, decretandone il fallimento. E si troverà a dover scegliere tra un regime e la sua classe politica colpevoli del disastro nazionale ed il caos dal quale sorgerà la nuova Italia.

 

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Pubblicato da Rosso Malpelo

Libero pensatore