Ma la politica non è tecnica

raggi-giachettiNell’editoriale odierno di Mario Calabresi su La Repubblica leggo quello che vorrebbe essere un argomento inoppugnabile del suo ragionamento:

Guardo al voto romano e continua a tornarmi in mente un esempio che mi ha fatto un vecchio amico: è come se un giorno i passeggeri di un aereo, stanchi di disagi, ritardi, dell’arroganza di personale e piloti — di cui conoscono stipendi, benefit e orari di lavoro — e dei prezzi eccessivi, di fronte all’ennesimo disservizio decidessero di ribellarsi cacciando dalla cabina l’equipaggio. A quel punto si pongono la domanda su chi possa portarli a destinazione ed è allora che si alza una giovane ragazza che ammette: «Non ho nessuna esperienza, non ho il brevetto, ma sono seria e per bene e ho sempre sognato di pilotare un aereo». Viene accompagnata in cabina in un tripudio di folla. Dove vadano a finire non è difficile immaginarlo. Spero che guidare un Comune sia meno difficile che far decollare un jet e che le energie nuove siano capaci di coagulare capacità e intelligenze, altrimenti per Roma potrebbe essere un brutto risveglio.

No, decisamente pilotare un aereo di linea (quale? Un ATR42 o un A380?) non è come fare il sindaco di una città (quale? Roma o Pomezia?), come non lo è il progettare edifici, operare a cuore aperto o anche intervenire in soccorso di un ferito grave. Sono tutti casi dove dalla padronanza della tecnica dipendono vite umane, ma la capacità tecnica non è il parametro esclusivo di valutazione per ogni attività umana. Vi sono dei campi dove la tecnica da sola è insufficiente, e sono tutti quelli in cui la creatività innovativa riveste un’importanza pari o superiore alla tecnica. Certamente tutta la produzione artistica rientra tra tali campi, ma anche la ricerca scientifica e le attività culturali in genere. Possiamo dire che la tecnica progredisce proprio grazie alla creatività umana, di cui è figlia.

Voler persuadere che la politica si riduca alla mera amministrazione, una semplice questione tecnica, è stato da sempre obiettivo delle élite dominanti, poiché padrone della tecnica, sono le sole legittimate alla guida della cosa pubblica, o alla sua amministrazione, come eufemisticamente amano definire l’esercizio del potere. Secondo la loro pretesa nessuna rivoluzione sarebbe mai potuta avvenire, ed infatti buona parte dell’esercizio del potere è sempre stato dedicato alla prevenzione e alla repressione di ogni possibile rivolgimento politico e sociale.

Ogni élite al potere ha tentato, con tutta la tecnica disponibile ed ogni mezzo giustificabile, di permanervi il più a lungo possibile. Tutte sono state presto o tardi scalzate, lasciando il posto a nuovi soggetti politici ed equilibri sociali, sovente migliori dei precedenti. Il più delle volte i nuovi soggetti al potere erano infinitamente meno competenti nella gestione tecnica dello Stato rispetto a chi li aveva preceduti, senza per ciò essere stati meno efficaci nella loro azione politica.

Quasi sempre si è avuta conferma della massima di Lord Acton: “Il potere tende a corrompere, il potere assoluto corrompe in modo assoluto”. Accade che la tendenza alla corruzione del potere, si sviluppi nel tempo. In altre parole, quanto più a lungo permane una élite al potere, tanto più diviene preda della corruzione. A quel punto le competenze tecniche sono rivolte principalmente al perseguimento di interessi personali inconfessabili, finendo per essere più deleterie dell’inesperienza per la collettività.

Dopo queste riflessioni sul ruolo della tecnica nella politica, mi sentirei di ribattere a Mario Calabresi che se Virginia Raggi non ha alcuna esperienza di pilotaggio, non ha il brevetto, ma ha sempre sognato di volare, Roberto Giachetti – però – non è sicuramente il Barone Rosso.

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Pubblicato da Rosso Malpelo

Libero pensatore