L’unica speranza per la Grecia

GRECIAAGRICOLTORISe fossi un agricoltore greco, oggi starei con tutti gli agli altri a picchettare le strade con i trattori, per protestare contro la quadruplicazione delle imposte. Se fossi un albergatore in una delle isole greche dove la UE ha stabilito l’edificazione degli hot spot per l’accoglienza e l’identificazione dei profughi, oggi sarei a manifestare in piazza insieme agli altri isolani il cui reddito dipende in larga parte dal turismo, probabilmente affrontando i lacrimogeni e le manganellate dei reparti antisommossa, inviati dallo stesso governo che ha raddoppiato l’IVA nelle isole, come richiesto dalla troika. La protesta dilaga tra tante categorie di lavoratori, contro quel governo che i greci hanno rieletto appena sei mesi fa sull’onda della disfatta politica del primo governo Syriza, durato soli otto mesi. Tsipras era arrivato al governo per porre fine al memorandum di austerità imposto dalla troika dal 2010. Nello scontro impari con la UE è fallito l’ingenuo tentativo di Tsipras, che dopo una resa incondizionata alla Commissione, all’Eurogruppo, alla BCE, al FMI e alla Germania, s’è disfatto dell’ala sinistra del suo partito per ripresentarsi agli elettori, in pratica dicendo: “Cari greci, avete visto con quale determinazione ci siamo battuti contro forze soverchianti, ci avrebbero persino cacciati dall’euro, ma noi non lo abbiamo permesso. Perciò rispetteremo il nuovo memorandum d’austerità ad ogni costo”. E i greci lo hanno rieletto. Così il secondo governo Tsipras vara un ulteriore pacchetto di tagli alla spesa ed aumenti d’imposte in un paese allo stremo.

Se fossi un cittadino greco, oggi mi sentirei completamente inerme e frustrato. Nessun governo democraticamente eletto sarà in grado di cambiare la condizione del paese, costretto a subire una terapia economica che lo ha rapidamente riportato indietro di decenni. Nessuna rivolta popolare può riconquistare le leve di comando dell’amministrazione, saldamente in mano ad una nomenclatura burocratica euroentusiasta. Il paese ha semplicemente perso una lotta combattuta con le mani legate dall’euro, ed il suo popolo è chiamato a pagare. Sono gli USA ad aver dettato l’esito del braccio di ferro con la Germania, costato la poltrona al ministro Varoufakis, che in una intervista a Marcello Foa svela le insormontabili difficoltà di un’uscita dall’euro.

Com’è possibile organizzare l’uscita dalla moneta unica se i funzionari che dovrebbero implementarla rispondono a Bruxelles prima ancora che al proprio Paese? Com’è possibile mantenere segreto un processo che solo per la stampa e per la distribuzione delle banconote e delle monete richiede almeno un anno di tempo? Ha ammesso che se la Grecia uscisse, dopo due anni l’economia tornerebbe a crescere ma è consapevole che nel frattempo dovrebbe affrontare un vero e proprio tsunami finanziario, causato dalla repentina violenza dei movimenti dei mercati, che avrebbe conseguenze umanitarie insostenibili per una Grecia già oggi ridotta a pelle ed ossa dalle “cure” della Troika.

Se fossi un greco, oggi mi sentirei meno sicuro anche per le conseguenze del ripristino dei controlli di frontiera in Europa, che rischia di far ammassare moltitudini di profughi lasciati filtrare da una Turchia sempre più arrogante, che usa il flusso dei profughi siriani per estorcere soldi all’Europa, mentre i suoi caccia si permettono di sconfinare provocatoriamente sempre più spesso nei cieli greci.

Un’unica speranza mi rimarrebbe oggi, se fossi un greco. La dissoluzione della UE e il ripristino della sovranità nazionale e monetaria che, alla luce dei recenti sviluppi, sta diventando una possibilità tutt’altro che remota. Tre i temi cruciali che s’intersecano ed interagiscono tra loro in questo momento: 1) la crisi economica mai superata dai paesi della periferia europea ed aggravata da una deflazione per nulla mitigata dal Q.E. di Draghi, che ora sta minando il sistema bancario; 2) l’imponente flusso di profughi e migranti che sta scatenando reazioni xenofobe in diversi paesi, e sul cui approccio c’è una tale divergenza d’opinioni tra i governi europei, da poter dare ormai per accantonato il trattato di Schengen; 3) il prossimo referendum per il Brexit, che ha spinto la UE all’attuale fase di negoziazione di speciali condizioni per il Regno Unito, che consentano al premier Cameron di spendersi a favore della permanenza nella UE. Condizioni che andranno approvate all’unanimità, ma su cui grava già il veto annunciato da Tsipras, qualora non venga garantita l’applicazione del trattato di Schengen e ripristinata la libera circolazione delle persone. Ma anche il fronte dei paesi meno propensi all’accoglienza dei profughi ha qualcosa da ridire sulle condizioni poste da Cameron, come l’esclusione dal welfare inglese per gli immigrati dalla UE.

Persino Renzi ha deciso di alzare la voce e, dopo settimane di scontri verbali con la Commissione, ha annunciato il veto dell’Italia su qualunque proposta di Berlino volta a ridurre gli investimenti delle banche nel debito pubblico del loro Paese (leggasi proposta Schäuble). La crisi bancaria e la bassa crescita rischiano di far saltare i conti, costringendo Renzi ad entrare in conflitto con la Commissione che deve dare l’ok alla legge di stabilità. Pronto è partito il fuoco d’interdizione da parte della nomenclatura euroentusiasta nostrana, insieme ai mormorii di congiura.

Sarà perché le circostanze hanno imposto ai governi di gettare la maschera, svelando plasticamente il conflitto tra i diversi interessi nazionali. Sarà perché tali interessi sono di vitale importanza per ciascun paese. O anche perché il dramma greco dello scorso anno ha fatto aprire gli occhi a tanti che li tenevano chiusi da troppo tempo e non si erano accorti che quest’Europa ha sempre avuto figli e figliastri, membri di serie A, a cui molto è stato tollerato negli anni in termini di slealtà, e membri di serie B, a cui nulla veniva perdonato e troppo era preteso. Che in quest’Europa ogni paese cercava di perseguire al meglio i suoi interessi, mentre noi italiani abbiamo sempre inviato a Bruxelles i politici meno capaci.

Se l’Inghilterra otterrà lo status speciale che reclama, sarà d’esempio per altri a cui fa comodo un’Unione a la carte. Se poi a giugno dovesse prevalere il si al referendum, sarà il segnale del rompete le righe, e il processo di dissoluzione della UE, partito ormai più di un decennio or sono, con la bocciatura della costituzione europea nei referendum in Francia e Olanda, entrerà nella fase finale. Fino ad allora prepariamoci ad una forte instabilità dei mercati, accompagnata da una grande sofferenza delle banche. Ed altre proteste in Grecia.

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Pubblicato da Rosso Malpelo

Libero pensatore