Non voto più

Immagine tratta dal blog di Bruno Aprile

Ebbene, lo confesso: non voto più dal 2006. Ho deciso per lo meno di non condividere la responsabilità di concorrere all’elezione di rappresentanti politici che non vogliono e non possono incidere per migliorare significativamente le condizioni di vita della maggioranza del popolo, che guarda caso coincide con le fasce economicamente meno agiate della popolazione. Ciò che la nostra classe politica si è dimostrata capace di fare bene negli ultimi decenni sono gli interessi propri e delle consorterie a cui fa capo, che verosimilmente sono costituite da individui economicamente già benestanti. D‘altra parte, che l’apparato dello Stato non sia neutrale, bensì strumento degli interessi delle classi dominanti, è noto fin da Karl Marx. Solo che oggi non c’è più una classe dominante sulla scena nazionale, bensì potentissimi conglomerati industriali e finanziari (corporations), sempre più transnazionali, la cui smisurata forza economica è in grado di piegare qualsiasi ostacolo in ogni parte del mondo. Contro tali formidabili entità, persino i cartelli di imprese e professionisti nazionali, una volta corporazioni molto influenti, sono costretti a chinare la testa, mentre i sindacati dei lavoratori hanno perduto progressivamente potere, a causa della precarizzazione del mercato del lavoro, dell’aumento della disoccupazione stabile e, non ultimo, di strategie e comportamenti sbagliati nel corso degli anni.
Il fenomeno che va sotto il nome di globalizzazione consiste essenzialmente nell’emancipazione del grande capitale, finalmente libero di spostarsi rapidamente dove più alto è il profitto e più basse le imposte. Per ottenere ciò è stato necessario abbattere le barriere per merci e capitali a cui gli stati nazionali ricorrevano per difendere le proprie economie, ciò che accadeva appunto quando ancora esistevano le classi dominanti all’interno degli stati nazionali. Con l’accumulo progressivo di ricchezza ed il diffondersi in tutto il mondo del modello di vita capitalista, basato su consumi e crescita illimitati, le corporations hanno acquisito un formidabile potere, in grado di condizionare i governi, favorire partiti politici e comprare consenso, tramite il controllo dei mezzi di comunicazione di massa. A conti fatti la globalizzazione s’è rivelata un ottimo affare per il capitale ed un pessimo per i lavoratori, che hanno visto ridursi il proprio reddito, i propri diritti, lo stato sociale e in ultimo anche il lavoro stesso.
Ci avevano detto che la globalizzazione sarebbe stata un’opportunità di sviluppo, che avremmo prodotto ed esportato di più diventando tutti più ricchi. Invece ci siamo ritrovati in recessione, dopo un periodo di ubriacatura da debiti. Ma questa è storia nota e ciascuno può fare i conti con la propria esperienza quotidiana.
Il grande capitale internazionale ha preso inesorabilmente il controllo degli stati, imponendo i suoi piani ai cittadini sempre più imbottiti di propaganda. Ha infiltrato i suoi uomini nelle stanze dei bottoni dell’Unione Europea, condizionandone l’evoluzione verso un modello funzionale solo al grande capitale, distante da quello democratico immaginato dai padri fondatori, ma in verità sempre più distante da un qualunque modello democratico. Con la crisi, il grande capitale ha avvertito il pericolo di un ripensamento generale da parte dei cittadini sia sul modello di sviluppo globalizzato che sull’Unione Europea e la sua moneta unica, ovvero tutto ciò che ci è stato venduto come foriero di pace, benessere e sviluppo. A ciascuno il suo libero giudizio se ciò si sia avverato o stia per avverarsi in un futuro prossimo.
Ecco dunque che per garantirsi il controllo rigido dei governi nazionali, questi vengono direttamente guidati da emissari del grande capitale, come nel caso di Monti e Papademos. I paesi più affetti dalla crisi vengono di fatto commissariati e i loro bilanci nazionali soggetti al vaglio degli organismi transnazionali. I partiti tradizionali sono costretti a formare maggioranze spurie destra-sinistra, ipotizzabili solo in tempo di guerra, ma oggi i governi di unità nazionale non difendono affatto gli interessi della propria nazione, piuttosto eseguono le direttive impartite dalla tecnostruttura europea, emanazione del grande capitale transnazionale, senza che il parlamento europeo abbia voce in capitolo. Questo consente ai partiti (e a quel milione di italiani che campano sulla politica) di conservare ancora un po’ di potere e privilegi in ambito nazionale, a condizione di eseguire gli ordini che provengono dall’estero, contrabbandandoli all’opinione pubblica come necessità dettate da colpe nazionali pregresse.
Un potere prepotente abbatte e sostituisce governi democraticamente eletti, come Berlusconi in Italia nel momento in cui è divenuto disfunzionale al Sistema, o Papandreu in Grecia, reo di aver evocato un referendum sull’euro. Che piega i governi riluttanti, come quello di Cipro, forzato ad imporre un prelievo sui depositi bancari dal ricatto della BCE, che ha bloccato per giorni i trasferimenti di denaro da e verso l’isola. Che impone i propri garanti a disprezzo di prassi e regole costituzionali, come nel caso del presidente Napolitano, richiamato in servizio non tanto dai partiti inetti, quanto dai poteri forti europei, che hanno sempre trovato in lui uno strenuo paladino di quel progetto europeo che tanti disastri e sofferenze sta causando nei paesi della periferia. Napolitano è il vero plenipotenziario e garante verso l’esterno, i suoi poteri si sono improvvisamente dilatati fino a comprendere la creazione di una coalizione di maggioranza non votata dagli italiani, la composizione del governo e la sua agenda, la difesa politica di partiti ed esponenti di governo contro gli attacchi dell’opposizione parlamentare, la nomina strumentale e contemporanea di 4 senatori a vita a supporto d’emergenza del fragile governo Letta, le polemiche dirette verso i partiti d’opposizione e l’ingerenza nelle scelte politiche del suo ex partito, il PD.
In queste condizioni il voto politico ha perso quasi totalmente d’efficacia, anche considerando la vigente legge elettorale, che non consente di esprimere preferenze e concentra la selezione dei candidati in mano alle segreterie di partito. Non è servito dividersi tra centrodestra e centrosinistra alle ultime elezioni, il risultato è stato comunque un governo di larghe intese, speculare a quello che lo aveva preceduto, nonostante nessun partito l’avesse prospettato in campagna elettorale (tranne forse quello di Casini, che non è stato certo premiato dal risultato). Nonostante lo storico 25% preso dal M5S di Grillo. Nonostante un diffuso scontento e crescente malessere nel paese. Nonostante il discredito per la classe politica che ha governato, alternandosi al potere, negli ultimi vent’anni. Nonostante tutto ciò, fanno sempre quello che coloro che li mantengono al potere vogliono che facciano, e seppure il M5S avesse preso il 51% dei voti, siate certi che non sarebbe mai giunto al governo, glielo avrebbero impedito con ricorsi e cavilli, se non addirittura con le armi.
Il voto democratico non è più l’arma decisiva in mano ai cittadini, perché la democrazia è arretrata su scala globale e sta perdendo la lotta contro gli interessi del grande capitale. Votare non solo è diventato inutile, ma paradossalmente finisce per legittimare il Sistema di potere che si è determinato. Probabilmente in un futuro più o meno lontano si dovrà ricorrere a forme di lotta più incisive, o arrendersi definitivamente alla spoliazione di ricchezza, servizi e diritti ad opera del capitale.

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Pubblicato da Rosso Malpelo

Libero pensatore