Alla fine devo ammettere che anch’io contribuisco alla cacofonia in questa Torre di Babele, in cui ciascuno dice la sua in merito alla crisi economica, alle sue radici e alle soluzioni per il suo superamento. Migliaia di blog in rete, centinaia di migliaia di post e commenti, da docenti e studiosi così come da tassisti e massaie. Ognuno sentenzia, certo delle proprie convinzioni, nel migliore stile italico, che ci vede tutti bravi allenatori di calcio, ma nel contempo anche arguti economisti. Persino tra i lettori di uno stesso giornale le opinioni divergono di 180 gradi. Liberisti, keynesiani, monetaristi, statalisti, moralisti, fautori della decrescita, MMT, marxisti, e mille altri isti da far confondere anche un computer.
Da quando ho intrapreso il mio approfondimento sulla crisi mi sono perso in una foresta di opinioni che non ha pari neppure nella politica, molto più omologata al pensiero unico europeista, pro euro e filo-austerità. E mentre i partiti sono tutti concentrati sulla loro sopravvivenza, impegnati in faide interne e operazioni di maquillage, il paese reale ha cominciato a discutere seppur con troppe voci di economia. Forse questo è già un bene, ma la moltitudine di opinioni non mi rende ottimista sull’esito di tale dibattito. C’è il rischio concreto che nella cacofonia delle parole, continui a prevalere quel pensiero unico economico che pure a questo punto della crisi ci ha condotto.
Provo a fare una sintesi delle opinioni prevalenti sui diversi aspetti. Cominciamo con il debito pubblico, da molti visto come causa della crisi che stiamo vivendo. Tanti ritengono che il debito sia il frutto dell’abnorme espansione della spesa pubblica, e che questa debba essere ridotta a favore dell’iniziativa privata. Qualcuno addirittura arriva a proporre di privatizzare tutto. Moltissimi ritengono che alla base della eccessiva spesa pubblica vi sia la corruzione della classe politica, che ha dilapidato e rubato ingenti risorse, addossandone il rimborso a tutta la popolazione. Ragion per cui la casta deve essere combattuta e ridotta, la corruzione repressa con durezza. Un’altra opinione comune è che i debiti vadano comunque ripagati, compresi i debiti sovrani, perché non può essere disattesa la fiducia dei creditori, tra cui molti piccoli risparmiatori o fondi pensione di lavoratori.
Molta confusione si riscontra anche sulla questione della produttività, troppo bassa secondo alcuni a causa della poca voglia di lavorare, specialmente nel pubblico impiego. Altri ritengono che dipenda dall’eccessivo peso fiscale, quasi tutti concordano che sia più alta in Germania e negli altri paesi del centro Europa.
L’euro è uno degli argomenti che più suscita divergenze appassionate, tra chi ritiene che ci abbia salvato dalla bancarotta e chi pensa invece che ci stia portando al fallimento. Chi è convinto che sia stata sprecata l’opportunità dei bassi tassi fornita nei primi anni dell’euro, e chi argomenta che la rinuncia alla possibilità di aggiustamento del valore della moneta costringa il paese ad una svalutazione dei salari. Chi sostiene che l’euro sia uno strumento di dominio e controllo della finanza europea, e chi lo vede come un passo fondamentale verso la costituzione degli Stati Uniti d’Europa, portatori di maggior benessere e democrazia.
Gli investimenti stranieri sono un altro pomo della discordia. Invocati come la manna dal cielo da tanti, vengono altresì definiti come passività dagli studiosi.
Persino sui precedenti storici le opinioni sono estremamente difformi. Ad esempio il caso dell’Argentina viene interpretato sia come un esempio di riappropriazione della sovranità economica e modello di uscita dalla crisi, sia al contrario come una forma di truffa perpetrata da uno stato nei confronti dei risparmiatori internazionali. Anche qui c’è chi ritiene che la condizione del popolo argentino sia notevolmente migliorata dopo il default, mentre altri sono convinti che di qui a breve l’Argentina rischia un nuovo collasso economico a causa della forte inflazione.
Insomma, grande è la confusione sotto il cielo. Ed anche gli esperti economisti non aiutano, essendo impegnati in accanite dispute teoriche tra loro.
Detto ciò, ora voglio dire quello che ho capito finora “cum grano salis”, ovvero con la saggezza del buon senso.
Punto primo – senza ombra di dubbio prima dell’introduzione dell’euro le mie condizioni economiche erano migliori, guadagnavo in media 3 milioni di lire al mese e mi sembrava di essere benestante. Dopo ho guadagnato 1500 euro mensili riuscendo a stento ad arrivare alla fine del mese. Ero e sono un lavoratore autonomo e prima dell’euro avevo molto più lavoro, dopo è andato progressivamente riducendosi, fino quasi a scomparire con la crisi attuale.
Punto secondo – i politici italiani hanno sempre avuto un alto tasso di corruzione, fin dai tempi dello scandalo Lockheed, di cui ho memoria, passando per Mani Pulite, fino agli scandali dei nostri giorni, ben poco è cambiato nell’atteggiamento della casta politica. Sperperi di denaro pubblico se ne son sempre fatti e l’Italia è piena di monumenti allo spreco, ciononostante ci sono stati lunghi periodi in cui il benessere era più uniforme e il lavoro non mancava.
Punto terzo – il debito pubblico non è un male assoluto. Se tutto il debito fosse in mano italiana, esso sarebbe una fonte di reddito per una bella fetta di popolazione, tanto maggiore quanto più diffuso fosse il risparmio in titoli di stato, come mi ricordo che era una volta. Il debito estero è una iattura perché ci mette in balia delle oscillazioni dei tassi di interesse, determinati altrove. A riprova di ciò basti pensare al debito del Giappone che supera il 200%, eppure non è soggetto a nessuno spread, perché è quasi totalmente in mani giapponesi.
Punto quarto – ho vissuto molte svalutazioni della lira e nessuna è stata un dramma per il paese, anzi spesso hanno rappresentato un sostanziale aiuto alle nostre esportazioni. Inoltre, la svalutazione della moneta si ripartisce in maniera più equilibrata sulla popolazione rispetto alla svalutazione dei salari.
Punto quinto – Gli investimenti esteri non sono sempre una buona cosa, per esempio una multinazionale che investe in Italia presuppone un ritorno economico che esporterà all’estero. Se quello stesso investimento fosse fatto a spese dello stato, genererebbe ugualmente reddito e lavoro, ma non vi sarebbero profitti esportati all’estero. Se invece un piccolo-medio imprenditore estero si trasferisce con la sua attività in Italia, è senz’altro una ricchezza che il paese acquista.
Punto sesto – Non è affatto detto che il privato sia meglio del pubblico, basti pensare che l’insieme di tutti i fallimenti degli stati verificatisi non arrivano neppure al valore della bancarotta della Lehman Brothers. Inoltre le privatizzazioni avvenute in Italia si sono rivelate piuttosto dei regali dei politici ai soliti noti, mentre i servizi non sono affatto migliorati, in compenso sono aumentati prezzi e tariffe. Credo che in linea di massima il pubblico sia da preferire al privato, giacché non deve perseguire necessariamente il profitto. Quale profitto devono generare la sanità, l’istruzione o la giustizia? O il trasporto dei pendolari? O le infrastrutture energetiche e telematiche? Inoltre in tempo di crisi i privati licenziano, aggravando la crisi, lo stato può non farlo. Tuttavia la gestione delle imprese e servizi pubblici deve essere efficiente ed oculata, e ciò non potrà avvenire fintanto che le nomine e le assunzioni saranno politico-clientelari e non per meriti e competenze.
Punto settimo – Sull’Argentina i dati dicono che la disoccupazione dal 34% è scesa al 3,5%; la povertà è diminuita del 55%, il PIL viaggia ad un +8% annuo e che la produttività industriale è aumentata del 300%. Certo c’è un’inflazione a 2 cifre, più o meno come da noi negli anni ’80, ma io ci sono stato due volte negli ultimi 3 anni ed ho avuto l’impressione che vedano il loro futuro con più ottimismo di quanto possiamo averne nel nostro.
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