Gli italiani sono in maggioranza un popolo retrivo e conservatore, i governi che riescono ad esprimere sono quasi sempre reazionari anche quando si fregiano dell’appellativo progressista. Molto probabilmente il motivo risiede nel profondo disprezzo che essi nutrono per i loro compatrioti, persino quando li divide una semplice contrada. In definitiva gli italiani si dispregiano e per reazione hanno sviluppato nel tempo una esterofilia sconfinata che li porta ad obliare la propria lingua, ad apprezzare acriticamente i governanti altrui ed a prendere per buona qualunque ricetta politica ed economica proveniente dall’estero anche quando palesemente volta a limitare la sovranità italiana per appropriarsi delle italiche ricchezze (che non son poche). Inoltre hanno partorito il mito dell’uomo forte al comando.
Ecco perché molto spesso ad ogni cambio di governo si ha la sensazione di essere passati dalla padella alla brace e quasi tutti sono disposti ad ammettere che “si stava meglio quando si stava peggio”. Gli italiani hanno inventato il fascismo, che con il loro consenso ha creato l’impero di cartapesta e poi s’è lanciato nella catastrofe della seconda guerra mondiale. Gli italiani hanno voluto la repubblica democristiana che con il loro consenso (e quello degli USA) è durata fino al crollo del muro di Berlino, per finire miseramente sotto il peso della corruzione diffusa. Gli italiani hanno osannato re Mida-Berlusconi che con il loro consenso se la spassava con le puttane dopo aver consolidato il suo impero mediatico. Sempre gli italiani hanno votato i partiti progressisti che hanno sostituito la moneta nazionale con l’euro, che con il loro consenso li ha resi più poveri di quando avevano la lira.
Caduto il regime democristiano, nella cosiddetta seconda repubblica, è apparso un nuovo fenomeno, prima sconosciuto. Accade che, quando i partiti politici annaspano nelle paludi in cui le proprie contraddizioni li hanno condotti, i presidenti della repubblica si scoprono novelli sovrani e impongono alla guida del governo l’uomo della provvidenza di turno, sapientemente pescato tra quelli proni ai poteri forti ed esteri. Unico caso tra le grandi democrazie, in Italia la politica viene ciclicamente commissariata per affidarsi ad un tecnico, mai super partes, sempre espressione del mondo finanziario, senza alcuna legittimazione elettorale. E’ accaduto con Dini, poi con Ciampi, poi con Monti ed ora con Draghi.
Mario Draghi, ex Goldman Sachs, ex governatore della banca d’Italia, ex governatore della BCE, è stato tirato fuori dal cilindro di Mattarella esorcizzando il ricorso alle urne, i partiti hanno messo la coda tra le gambe e si sono posti di buon grado a tirare la slitta guidata dal banchiere col volto da varano di Komodo. Gli obbiettivi dichiarati del suo governo di larghissima maggioranza erano essenzialmente due: completare il piano per intascare i soldi del Recovery Fund europeo, con annesso varo delle riforme condizionali, e la lotta alla pandemia di Covid-19. Ebbene, se per il primo obbiettivo la strada per il governo è stata perlopiù in discesa, trattandosi di spartire dei soldi, seppure a debito, il secondo obbiettivo s’è rivelato una debacle completa.
La lotta alla pandemia è stata erroneamente affrontata come una guerra, con la nomina di un generale a capo della struttura commissariale, l’imposizione progressiva di misure restrittive della libertà, il disciplinamento della popolazione tramite lasciapassare, l’obbligo surrettizio ad una vaccinazione generale su cui si è deciso di puntare tutto, operato tramite un ricatto sul diritto al lavoro e conseguentemente al reddito, nonostante i dubbi sul brevissimo tempo di sperimentazione, un controllo ferreo sull’informazione trasformatasi in propaganda di regime, l’opera imponente di discredito e discriminazione nei confronti di chi ha ritenuto di non conformarsi agli ordini del governo. Tutto ciò non può che richiamare alla mente la logica autoritaria dell’imperativo categorico e del credere, obbedire e combattere. Eppure la maggioranza degli italiani non ha avuto nulla da obiettare, lasciandosi irreggimentare proprio come al tempo delle due guerre mondiali.
Nonostante la gigantesca opera di mistificazione posta in essere da questa compagine autocratica, colpevole tra l’altro di aver disseminato l’odio tra il popolo, giacché dichiarare guerra al virus non ha senso e ciò che si ottenuto è stata una guerra alla gente, i fatti hanno la testa dura (a dirla con le parole di Lenin). E i fatti attuali, certificati dalla John Hopkins University, sono che malgrado siano state somministrate oltre 113 milioni di dosi di vaccino, in una settimana si sono registrati in Italia più di 680.000 contagi, mai così tanti dall’inizio della pandemia. L’incidenza è oltre l’11% e l’Italia è quinta al mondo per numero di contagi dopo USA, UK, Francia e Spagna. I fatti, certificati dall’ultimo bollettino emesso dall’Istituto Superiore della Sanità, sono che nel periodo 13-26 dicembre 2021 risultano contagiati oltre 400.000 vaccinati a fronte di 170.551 non vaccinati, che in ospedale ci sono finiti 7.587 vaccinati e 7.059 non vaccinati e i decessi sono stati 1.337 tra i vaccinati (persino 62 con terza dose) e 994 tra i non vaccinati.
Se questa è una guerra, allora ci troviamo di fronte ad una Caporetto, anzi una Coviretto e sui libri di storia in futuro si studierà come questa drammatica situazione è stata affrontata e mal gestita da un governo, che pur di non ammettere i propri errori strategici, la sua pervicacia e le sue menzogne (“Non ti vaccini, ti ammali e muori. Oppure, fai morire”), preferisce incolpare i dissenzienti, un po’ come Cadorna che mandava i carabinieri a sparare su chi non se la sentiva di uscire dalla trincea per dare inutilmente l’assalto al nemico. Poi è arrivata la disfatta di Caporetto e Cadorna disse era stata colpa dei soldati vigliacchi che erano scappati davanti al nemico. Ci vollero le pressioni di Francia e Inghilterra per farlo rimuovere da capo di stato maggiore.
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