Viviamo un tempo difficile, per molti versi oscuro e indecifrabile, non solo per la crisi economica più dura della nostra storia recente, di cui ancora non riusciamo ad intravederne la fine, ma anche per la perdita di fiducia in quel modello di sviluppo continuo che tanti progressi ha consentito alla parte ricca dell‘umanità, e nel suo strumento universale di misura: il PIL (come bene argomentano Stefano Sylos Labini e Giorgio Ruffolo in un articolo pubblicato su La Repubblica di oggi, e significativamente titolato Liberiamoci dal PIL). E’ venuta meno la fiducia nella superiore capacità del mercato di sapersi autoregolare e re-distribuire in qualche misura la ricchezza prodotta, nel comune sentire della gente, che ha smesso di reclamare più mercato per rivendicare invece più Stato per la sanità, la scuola, la giustizia, la difesa del territorio e del patrimonio nazionale, la ricerca, i sussidi ai redditi bassi, e in tanti altri campi d’intervento. Si è progressivamente persa fiducia anche nella classe politica, incapace di rappresentare e difendere bisogni e aspirazioni della gente comune, ma capacissima di farlo per le lobby economiche.
E’ un periodo di sfiducia e disillusione diffuse, di sogni infranti come quello della moneta unica di cui eravamo i più entusiasti in quell’Europa Unita, ideale di tanti antifascisti lungimiranti. Ci stiamo accorgendo che sia l’euro che l’Unione sono stati realizzati invece a misura del capitalismo, e che quel modello di welfare democratico che il mondo ci invidiava non era irreversibile. Che la voce dei deboli svanisce del tutto nei centri del potere europeo, sui i quali i cittadini non hanno alcun controllo. In una parola, ci rendiamo conto che la promessa di crescita e sviluppo contenuta nell’euro e nella UE, non è stata mantenuta ed anzi finora ci è costata cara assai, ma tornare sui nostri passi è stato reso impossibile ed il solo pensarlo evoca scenari catastrofici nei fanatici del T.I.N.A. (There Is No Alternative).
Sfiducia e disillusione investono anche il nostro illuministico concetto di progresso, secondo cui le sorti progressive dell’umanità erano legate alla produzione industriale sempre maggiore di merci, grazie alla scienza e alla tecnologia, che rendevano possibile lo sfruttamento crescente delle risorse naturali, in un processo di creazione di ricchezza che avrebbe sconfitto la povertà sulla Terra e ridotto le differenze tra gli uomini. La miseria non è stata sconfitta ed anzi è cresciuta insieme alla popolazione, anche le disuguaglianze sono aumentate, come pure i conflitti. Al contrario, le risorse naturali vanno esaurendosi e l’impatto delle attività umane sull’ecosistema ha raggiunto un livello insostenibile, minacciando il clima del pianeta e l’estinzione di molte specie viventi.
In questa perdita generalizzata di punti di riferimento, ci sentiamo smarriti ed insicuri, incapaci di reagire in qualche modo alla crisi, al declino del nostro paese, alla confusione a cui contribuiamo con le nostre paure, la nostra ignoranza e corta memoria. Ci manca una guida, un riferimento ideale che crediamo di trovare di volta in volta nel carisma degli uomini, ma è l’ennesima illusione, perché affinché si tratti di un punto di riferimento vero e stabile, è necessario che vengano alla luce idee nuove, nuovi concetti e teorie in grado di affascinare la mente e convincere la ragione di ciascun uomo. Occorre un’idea che si faccia ideale e quindi meta per l‘umanità, che ne giustifichi sforzi e sacrifici necessari per riprendere il cammino comune verso nuovi traguardi sociali e culturali.
In attesa che queste nuove idee vengano partorite, saremo ancora preda del senso di sconfitta perenne, dell’inutilità delle nostre azioni, del peggioramento ineluttabile e dunque di sfiducia nel futuro. Faremo sempre più fatica a riconoscerci in partiti e organizzazioni e diffideremo delle istituzioni. Confonderemo la destra con la sinistra, perché non più distinguibili. Come diverrà sempre più difficile distinguere la democrazia dall’oligarchia, l’informazione dalla propaganda, il vero dal falso, la libertà dalla schiavitù. Perché tutto sta per essere rimescolato nel pentolone della Storia.
Viviamo un’epoca d’incertezza, che può dar luogo in qualunque momento ad una nuova forma sociale, o ad una nuova guerra, ove davvero tutto può accadere nei prossimi anni. E’ il tempo in cui alcuni paradigmi fondamentali della civiltà moderna – come la crescita illimitata, l’avidità e l’ambizione individuale – devono essere rimessi in discussione per generarne di nuovi, nel perenne ciclo evolutivo dell’umanità e del suo pensiero. Ciò che possiamo fare è di conservare il nostro spirito critico, ricordando gli obiettivi ideali che si era data la generazione precedente: abolizione della miseria, giustizia sociale e libertà, aggiungendovi di nuovo la tutela dell’ambiente e delle altre specie viventi.
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